giovedì 20 luglio 2017

Benson, Greene & Co: il culto di Baron Corvo tra i cattolici

di Luca Fumagalli

Un lettore si appassiona a un libro quando in esso trova tracce di sé. C. S. Lewis, facendo riferimento al suo diuturno rapporto con J. R. R. Tolkien, definì l’amicizia tra due persone pressappoco allo stesso modo.
A quanto pare, a giudicare dalla mole di scritti giunti sino a noi, numerosi autori e studiosi cattolici hanno trovato qualcosa di loro stessi nelle opere di Frederick Rolfe “Baron Corvo” (1860-1913). Strambo dandy del tardo decadentismo, morto in povertà a Venezia, Corvo è oggi ricordato soprattutto per Adriano VII, romanzo fantastorico di un Papa inglese che riesce a imporre la volontà della Chiesa alla litigiosa Europa moderna.
Mons. Robert Hugh Benson (1871-1914), uno dei tanti amici/nemici che avevano incrociato la strada dello sfortunato scrittore, fu colui che, per primo, si incaricò di mantenerne viva la memoria letteraria.
A Cambridge, infatti, pur non occupandosi direttamente della cappellania cattolica dell’università, Benson era riuscito grazie alle sue indiscutibili doti di predicatore a riunire intorno a sé un piccolo gruppo di zelanti studenti, i cosiddetti “Bensonians”. Oltre a Shane Leslie (1885-1971), ideatore del nome, la compagine era composta da Eustace Virgo (1861-1937), Vyvyan Holland (1886-1967), secondo figlio di Oscar Wilde, Ronald Firbank (1886-1926) e Jack Collins (1882-1912). Questi giovani eccentrici, alla ricerca di un’esistenza non convenzionale, lontana dalle rigide imposizioni dell’epoca edoardiana, trovarono in Benson un maestro che li spinse tra le braccia della Chiesa di Roma. Il motto del sacerdote, «l’anticonformismo è il sale della vita», fu la pietra su cui venne edificato il loro sodalizio.
I “Bensonians” furono i primi cultori della figura e dell’opera di Baron Corvo. Benson li introdusse agli scritti dell’amico con una tale passione che le lunghe conversazioni serali, intervallate dalla lettura ad alta voce delle pagine migliori di Rolfe, divennero presto per loro un appuntamento irrinunciabile.
Leslie, valente poligrafo e apologeta, nel 1923 fu il primo a redigere un articolo biografico sul conto dello scomparso scrittore, a cui fece vestire anche i panni di Baron Falco nel romanzo The Cantab(1926). Holland, Collins e Virgo potevano contare nelle proprie librerie diversi volumi di Corvo; Firbank ne coltivò lo stile e fuse nel protagonista del suo racconto lungo Sulle eccentricità delCardinal Pirelli (1926) i caratteri di Adriano VII e di mons. Benson.
Tra i lavori di Rolfe che i “Bensonians” preferivano vi era lo collezione di novelle italiane intitolata In His Own Image. Collins aveva definito il volume “il quinto Vangelo” e anche Benson aveva letto così tante volte i racconti da conoscerli quasi a memoria. Uno degli arazzi che decoravano la sua casa, quello raffigurante il Santo Graal, era ispirato a una delle storie.
Benson, oggi ricordato soprattutto per essere l’autore del bestseller Il Padrone del mondo, pagò il suo affetto per Rolfe vedendosi affibbiata dai delatori l’infame etichetta di omosessuale. Un’accusa naturalmente infondata, ancora più grave se si pensa all’assoluta continenza sacerdotale che contraddistinse tanto la vita quanto la narrativa del monsignore inglese.
Con la pubblicazione nel 1934 di Alla ricerca del Baron Corvo (The Quest for Corvo), il nome di Rolfe iniziò finalmente a circolare, prima tra i bibliofili, poi tra il più vasto pubblico dei lettori. La biografia, scritta da A. J. A. Symons e dedicata a Shane Leslie, è ormai diventata un classico del genere. Dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, essa contribuì al fiorire di una pletora di studi dedicati al misterioso barone. Del resto Eustace Virgo, nel suo romanzo autobiografico Life at a Venture (1930), pubblicato con lo pseudonimo di E. V. de Fontmell, aveva profetizzato il successo postumo che avrebbe investito Frederick Rolfe: «Il povero diavolo è morto, ma la sua fama di genio, di letterato e di enigmatico mistero vivranno di nuovo».
Tra gli intellettuali cattolici della seconda metà del XX secolo che più si appassionarono alla vita e all’opera di Baron Corvo, Graham Greene (1904-1991) merita un posto d’onore. Il quasi premio Nobel definì provocatoriamente Rolfe «uno scrittore di genio» e da lui trasse un importante lezione per caratterizzare i personaggi dei suoi romanzi, costantemente in biblico tra peccato e redenzione.
Uno dei più importanti “Corvomaniaci” fu il monaco carmelitano Brocard Sewell (1912-2000), cultore del decadentismo inglese e co-autore di un brillante saggio sulla conversione di Rolfe (The Clerk Without a Benefice: A Study of Fr. Rolfe, Baron Corvo’s Conversion and Vocation). Sewell, che in gioventù militò tra i ranghi della Lega Distributista e che ebbe contatti con il partito fascista inglese, fu un accanito oppositore delle riforme liturgiche promosse dal Concilio Vaticano II. Nel post-Concilio, forse ferito da quella che percepiva come una resa della Chiesa alle logiche del mondo, perdette letteralmente la testa: si mise a contestare Paolo VI da posizioni progressiste e nel libro Vatican Oracle attaccò pubblicamente l’enciclica Humanae Vitae. Di conseguenza ebbe parecchi grattacapi con le autorità ecclesiastiche e trascorse buona parte degli ultimi anni della sua vita in esilio volontario in Canada.
Il maggior merito di Sewell nell’ambito degli studi corviniani è la curatela, insieme a Cecil Woolf, del volume New Quests for Corvo (1965), una collezione di articoli dedicati a Rolfe. Il libro era stato distribuito per la prima volta quattro anni prima in edizione limitata con il titolo Corvo 1860-1960. La Saint Albert’s Press, la casa editrice dei carmelitani britannici, si occupò dell’impaginazione e della stampa del testo, provvisto di imprimatur.
Altri ammiratori di Baron Corvo furono il monaco benedettino Sylvester Houédard (1924-1992), poeta e traduttore, esperto di storia delle religioni, e Alexandra Zaina (1921-2008), quest’ultima membro attivo della Latin Mass Society, un’organizzazione nata in Inghilterra con lo scopo di difendere la messa tridentina in opposizione alle innovazioni conciliari. Chi la conobbe racconta che l’amore per Corvo giocò un ruolo determinante a favore del suo conservatorismo liturgico.
L’americano Ralph McInerny (1929-2010), professore di filosofia presso la University of Notre Dame, nell’Indiana, oltre a essere stato uno dei nomi più importanti dell’intellighenzia conservatrice statunitense, scrisse alcuni saggi di approfondimento sui più importanti romanzieri cattolici. In Some Catholic Writers (2007), per esempio, si parla ampiamente di Rolfe, autore a cui McInerny dedicò anche un ciclo di conferenze.
Baron Corvo non mancò inoltre di essere segnalato in varie antologie letterarie come, per esempio, The World’s Great Catholic Literature di George N. Shuster (1980), e The Pen and the Cross di Richard Griffith (2010).
Frederick Rolfe rimane dunque una figura certamente complessa, un uomo dotato di molte personalità, alcune delle quali in perenne contrasto tra loro, annegate in un mare di frustrazioni e paranoie. Quel che è certo, però, è che nei suoi romanzi, negli articoli o nei saggi – che spesso completò senza la soddisfazione di vederli pubblicati – traspare ogni volta il suo sincero attaccamento alla Fede, l’aspetto più interessante della parabola esistenziale di Corvo, il motivo, in altre parole, per cui tanti cattolici hanno voluto omaggiare la narrativa di questo sfortunato scrittore che fu Papa nell’immaginazione, barone nella finzione e genio nella vita.

da: www.radiospada.org

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