venerdì 16 dicembre 2016

umani o animali?

di Enzo Pennetta
Nell’elaborazione di un nuovo progetto editoriale per Il Timone mi sono trovato nella necessità di consultare un libro del filosofo bioeticista Peter Singer, uno dei più influenti a livello mondiale. Un libro pubblicato in lingua originale nel 1994 e in Italia nel 1996 dal titolo Ripensare la vita, con grande fortuna sono riuscito a trovarne una delle due copie disponibili tra Roma e provincia in una biblioteca in zona S. Giovanni e l’ho presa per cercare un passaggio di cui avevo solo letto una citazione.
Trovatolo sono poi passato a leggere altri capitoli scoprendo che c’erano molte altre cose interessanti nel libro, una in particolare riguarda il capitolo ottavo intitolato Verso il superamento della discontinuità che inizia con un esergo di Richard Dawkins:
“Per chi ha una visione discontinua delle cose, quello di umanità è un concetto assoluto.
Di mezze misure non possono esservene.
E ciò è causa di molti guai.”
Dawkins si conferma il trait d’union tra scienza e uso ideologico della stessa, Singer è sul versante di chi afferra lo strumento offerto per tradurlo in ricadute sociali. Il capitolo in questione è tutto un ripercorrere la storia della visione dell’Uomo rispetto agli animali, percorso pieno di luoghi comuni e forzature, si va infatti dalla visione copernicana che avrebbe tolto l’Uomo dal centro dell’universo (peccato che nella concezione dantesca il centro era il punto più basso e della creazione e sede di ciò che è imperfetto), alle solite vicende di Giordano Bruno e Galilei, che ovviamente sono riportate come vulgata comanda, per approdare infine a Darwin che avrebbe portato a compimento la rivoluzione copernicana togliendo all’Uomo il suo posto tradizionale.
Una narrazione da fare invidia a Dan Brown, si potrebbe chiamare “Il codice Singer”, un segreto terribile: l’Uomo è uguale agli animali. Ma un segreto che si basa su falsità e quindi il vero segreto che deve essere mantenuto sono le sue fallacie.
Per Singer, dopo il compimento dell’equiparazione tra uomo e animale compiuto da Darwin (e Thomas Huxley), lo status speciale dell’Uomo ha ricevuto diversi “scossoni”:
La questione ambientalista che mette in discussione la signoria dell’Uomo sulla natura ereditata dal cristianesimo.
L’emergere negli anni ’70 del movimento di liberazione degli animali.
Alcuni primati, tra cui un gorilla, hanno imparato il linguaggio dei segni, quindi la parola non è una prerogativa umana.
L’emergere delle conoscenze sulle scimmie e la scoperta delle differenza del DNA umano e degli scimpanzè dell’1,6%.
Argomenti la cui fallacia può essere facilmente dimostrata:
La questione ambientalista potrebbe dimostrare la signoria dell’Uomo sulla natura, infatti solo la specie umana ha la possibilità di preservarla o distruggerla, cosa che nessun altro essere vivente può fare.
I movimenti di liberazione degli animali partono dal dogma che uomini e animali siano uguali, usarli per dimostrare che uomini e animali sono uguali è una banale tautologia.
La sicumera ostentata da Singer nel suo libro sull’analogia tra linguaggio animale e umano è stata impietosamente demolita dallo studio “The mystery of language evolution” del 2014.
La differenza percentuale tra DNA umano e di scimpanzè pari all’1,6%, una comunanza del 98,4% che diventa non significativa a fronte del 95% che ci unisce ai topi e al 50% che ci vede accomunati alle banane.
In definitiva nel suo libro Singer non solo non dimostra la sua tesi sul ripensare la vita umana, ma riesce benissimo a far capire come il darwinismo sia stato fin dal principio un puntello indispensabile per far passare un’antropologia riduzionista e riduttiva, una narrazione funzionale ad una visione sociale utilitaristica, quella che ho definito come “L’invenzione dell’antropologia capitalista”.



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