martedì 20 dicembre 2016

Prepararsi al Natale rileggendo “Il padrone del mondo” di R. H. Benson

di Luca Fumagalli

«Questo libro produrrà senz’altro sensazioni di sconforto e sarà (per ciò e per altri motivi) oggetto di ogni tipo di critica; ma mi è sembrato che il mezzo migliore per esprimere valori e principi che mi stanno a cuore e che io credo veri e infallibili fosse quello di tradurli in avvenimenti che possono commuovere». Con questa premessa Benson introduce il lettore nel mondo futuristico de Il padrone del mondo.
Alla fine del XX secolo l’uomo ha raggiunto gli estremi confini del progresso materiale e intellettuale. La vittoria del socialismo, l’eliminazione della guerra, la legalizzazione dell’eutanasia, l’adozione di cibi artificiali e l’uso dell’esperanto come lingua internazionale sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano la nuova realtà. Con il trionfo dell’umanitarismo laico le religioni sono ormai quasi completamente scomparse. Il cristianesimo ha ritrovato la sua unità nel cattolicesimo, ma il modernismo e il complesso di inferiorità rispetto alla cultura dominante – alimentato da alcuni intellettuali – hanno dato il via a un’apostasia di massa che ha ridotto gravemente il numero dei fedeli. Il Papa, pur avendo riacquistato il controllo della città di Roma, da cui è bandita ogni tecnologia, rimane isolato sul piano internazionale.
I due protagonisti del romanzo non potrebbero essere più diversi: Julian Felsenburgh, socialista e massone dall’oscuro passato, governa l’intero Occidente grazie alle brillanti doti di oratore e alla personalità magnetica, mentre Percy Franklin è uno degli ultimi sacerdoti rimasti fedeli alla Chiesa, recentemente colpito dalla defezione di tanti confratelli tra cui l’amico Francis. Il terzo polo narrativo è costituito dai coniugi Mabel e Oliver Brand, militanti politici e accaniti sostenitori del progresso; davanti alle prime persecuzioni dei cristiani mostrano però una disillusione crescente. Mabel, stanca di una vita che appare senza senso, opta addirittura per il suicidio assistito.
Quando a Westminster viene scoperto un complotto ordito dai cattolici per far esplodere la cattedrale durante la celebrazione delle nuove festività laiche, Felsenburgh getta la maschera e decide di distruggere Roma. Tocca a Percy, nel frattempo eletto papa, affrontare una situazione apparentemente senza scampo: il misterioso politico americano è infatti l’Anticristo profetizzato dalle Scritture.
Nonostante la pubblicazione risalga al 1907, Il padrone del mondo è uno strumento utilissimo per decifrare la contemporaneità. Il legame con il presente emerge nel momento in cui l’autore individua come male della modernità non tanto le ideologie storiche – nel testo il socialismo passa rapidamente in secondo piano – quanto l’umanitarismo, una sorta di religione spuria, senza Dio, che fa appello a istanze tipiche del cattolicesimo per svuotarle dall’interno, pervertendole nel significato: come la tolleranza religiosa si tramuta in laicismo, anche la carità diventa una solidarietà generica e senz’anima. É un sovvertimento progressivo, lento e silenzioso, teso a ridurre tutto a un livello meramente umano. Ben presto anche la patina pacifista si sgretola per lasciare posto all’intolleranza e alla violenza.
L’essenza dell’umanitarismo, il nuovo pensiero unico dominante, è la sostituzione di Cristo con l’uomo. È lo stesso orribile sofisma che è a fondamento del grande rifiuto di Satana e del peccato d’Adamo. Il «Non servirò» del demonio è il motto del mondo distopico immaginato da Benson. Come ricorda il filosofo Augusto Del Noce, che ebbe a lodare la forza profetica del romanzo, «la secolarizzazione cerca la propria giustificazione ultima col porsi come strumento, unico strumento, di liberazione e di emancipazione umana da ogni forma di alienazione e di servitù».
Anche il riferimento alla massoneria, un’istituzione iniziatica sorta nell’Inghilterra del XVIII secolo, si inserisce nel medesimo tracciato. Il mondo pronosticato dallo scrittore inglese obbedisce alla logica agnostica della filosofia massonica per cui l’inconoscibilità del divino è presupposto all’impossibilità di una legge morale condivisa. Il nuovo e corrotto umanesimo è quindi l’esaltazione luciferina dell’egoismo, dell’elevazione dell’uomo a re e giudice di se stesso. La massoneria detiene il ruolo di fucina delle idee, una sorta di contro-Chiesa il cui compito è quello di spargere i germi della rivoluzione anticristiana. Dietro l’aspetto innocuo si nasconde il lato oscuro di una malattia spirituale che contamina il globo. La pace globale non è l’esito della cristianizzazione, come avveniva ne L’alba di tutto, ma il frutto di un’obnubilazione collettiva, di un diffuso disinteresse verso qualsiasi ricerca di senso e significato: quando Mabel si confronta seriamente con le aspirazioni del suo cuore, scopre un vuoto così incolmabile da spingerla al suicidio. L’annientamento di ogni residuo di umanità anticipa di poco la distruzione della terra.
La venuta di Cristo, al contrario di quella di Felsenburgh – il cui nome suggerisce una sinistra ambiguità –  provoca una profonda frattura tra uomo e mondo: «Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra. Non sono venuto a portare la pace, ma la spada» (Mt. 10, 34-38). Una separazione che, se da una parte genera il dramma, dall’altra restituisce il sapore della vita, fatta di quegli imprevisti che avvicinano alla consapevolezza di dipendere da altro. Al contrario, nel libro si assiste alla negazione di sé e dei propri desideri con il risultato che i protagonisti diventano rarefatti, fantasmi simili agli abitanti della Terra desolata di T. S. Eliot.
Il padrone del mondo, l’appellativo biblico dell’Anticristo, è un titolo così evocativo da assommare in sé il senso dell’opera narrativa di Benson. Felsenburgh rappresenta al massimo grado la tentazione del male e dell’autocompiacimento tipica di un’anima ferita dal peccato originale, la stessa tentazione che fu dei sovrani inglesi ai tempi della Riforma o degli uomini e delle donne dell’Inghilterra vittoriana.
In egual misura il romanzo nasconde dietro i colori della finzione letteraria una cristallina fotografia del XXI secolo. La nuova religione, con feste e riti codificati celebrati da sacerdoti apostati, come tante mode contemporanee è un pallido tentativo di corrispondere alle aspirazioni spirituali dell’umanità. L’opulente società del futuro, al pari di quanto scritto nel libro del profeta Daniele – a cui Il padrone del mondo ammicca in più punti – «sarà la desolazione dell’abominazione» (Daniele 9, 27).
Quando fa la sua comparsa l’affascinante politico americano, si è toccato il fondo della malvagità. Alimentato dai peccati delle nazioni, l’Anticristo può finalmente incarnarsi per condurre l’attacco finale al cristianesimo. Con sarcastica inversione, tutti lo acclamano come il salvatore e qualcuno già lo considera un dio, il «dominus et deus noster».
L’unica residua opposizione è costituita da Percy Franklin, nascosto a Nazareth con i pochi cattolici sopravvissuti alle persecuzioni, dove tutta la storia della salvezza ha avuto inizio. Felsenburgh organizza quindi un piano d’attacco per annientare i pochi superstiti; ma, esattamente come per Cristo agonizzante sulla croce, anche per la Chiesa il momento della sconfitta coincide con la più grande vittoria. Il male non può trionfare. Mentre le bombe sganciate dagli aerei radono al suolo il piccolo villaggio della Galilea, si compie ciò che era stato profetizzato: giunge la fine del mondo, la seconda venuta di Dio, la Vita eterna per tutti coloro che hanno sofferto in Suo Nome. Alla fine le porte dell’inferno non hanno prevalso.




sabato 17 dicembre 2016

L'antilingua modifica il nostro modo di pensare (senza che ce ne accorgiamo)

di Tommaso Scandroglio

Tra realtà e linguaggio c'è un legame profondo: il linguaggio ha la funzione di esprimere e comunicare il mondo, quindi di rivelarlo. La parola serve per designare la realtà ed è perciò strumento di verità. Prima c'è la verità e poi la parola che la esprime. Occorre quindi chiamare le cose con il loro nome.
Le ideologie di ogni tempo invece non vogliono riconoscere la realtà per quello che è (nel ventre della madre c'è un bambino, un maschio è per natura attratto da una femmina), ma vogliono creare una propria realtà, inventarla (nel ventre della madre c'è un grumo di cellule e un maschio per natura può essere attratto da un altro maschio): la realtà non è quella che è, ma è quella che vorrei che fosse. Chiamasi razionalismo: costruzione di una realtà esistente solo nella testa di chi l'ha ideata e che vuole sovrapporre, anzi imporre, alla vera ed unica realtà. 
Per creare una nuova realtà, occorre da una parte demolire quella vecchia e quindi i termini che la indicavano per impedire altre forme di pensiero. 

LA STERILIZZAZIONE LINGUISTICA
Sull'atro versante è necessario costruire un nuovo mondo anche con l'ausilio di nuovi termini, un nuovo vocabolario che indichi realtà prima inesistenti. Ecco quindi l'elaborazione di un'antilingua (termine inventato da Italo Calvino) o di una neolingua (neologismo di George Orwell).
Iniziamo dalla pars destruens. Occorre seppellire un mondo di valori, di visioni di vita (Weltanschauung), di prospettive filosofiche, di coordinate culturali. Per raggiungere lo scopo sul piano linguistico ci possono essere tre strade da percorrere. La prima: la semplice cancellazione del termine, senza sostituirlo con nulla. Oggi ci sono delle parole che sono dei veri e propri desaparecidos linguistici. Pensiamo a termini propri della filosofia metafisica come essenza o natura umana o lo stesso lemma metafisica; termini di carattere morale: virtù, castità, fortezza, mitezza, umiltà, verginità, nobiltà, lealtà; termini di carattere religioso: giudizio, inferno, paradiso, purgatorio. Da qui passa anche la sterilizzazione linguistica: togliere le armi linguistiche al nemico togliergli i concetti forti. Occorre candeggiare la lingua così da renderla debole, inefficace alla lotta dialettica. L'involuzione della lingua verso un suo impoverimento porta poi le persone a parlare male. E chi parla male pensa anche male, pensa in modo acritico. Lo ricordava Orwell: "Il depauperamento del linguaggio è un vantaggio, giacché più piccola è la scelta, minore è la tentazione di riflettere". 

LA SOSTITUZIONE LINGUISTICA
Altra modalità di carattere semantico per annientare un mondo vecchio al fine di costruirne uno nuovo: cancellare alcuni termini e sostituirli con altri. Cambio le parole che indicano la realtà, cambio il percepito della realtà stessa. Questo processo serve essenzialmente per due scopi. In primo luogo se la realtà è troppo ruvida e sgradevole è meglio edulcorarla. Il criminale nazista Adolf Eichmann al processo a Gerusalemme si difese dicendo che non si trattava di deportazioni di ebrei, ma di "emigrazione controllata" Analogamente il Parlamento italiano ha preferito usare l'espressione "unioni civili" e non "matrimonio omosessuale" perché il popolino non è ancora pronto per accettare quest'ultimo. Troppo indigesto per la sensibilità attuale. 

LA MUTAZIONE LINGUISTICA 
La mutazione linguistica è utile anche perché il possesso delle parole è possesso delle coscienze e della realtà. Se il nascituro è solo un "prodotto del concepimento" sarà impossibile difendere i diritti del nascituro dato che un prodotto non ha diritti. E così abbiamo non omicidio del consenziente o aiuto al suicidio ma eutanasia, dolce morte, biodignità, ecomorire, finecosciente (queste ultime espressioni sono state coniate da Piergiorgio Welby nel suo libro "Lasciatemi morire"); non sindrome a-relazionale ma stato vegetativo per suggerire che 1'uomo da persona è diventato vegetale e quindi lo possiamo uccidere come quando recidiamo un fiore con le forbici; non fecondazione artificiale ma procreazione medicalmente assistita, espressione che rappresenta in modo falso la realtà dato che il medico non aiuta le coppie a procreare ma si sostituisce ad essa in questo atto; non selezione eugenetica ma diagnosi genetica preimpianto; non marito e moglie ma semplicemente coniuge n. 1 e 2, termine che annulla in sé le differenze di sesso potendo essere i coniugi entrambi maschi o entrambe femmine; non marito e moglie ma compagno e partener usati in modo indistinto sia per i coniugi che per i conviventi perché matrimonio e convivenza pari sono; non pillola abortiva ma contraccezione di emergenza; non fidanzato, ma ragazzo, tipo, fino al "mi vedo con uno" per rendere i rapporti sempre più liquidi e meno responsabili. Sostituendo un termine con un altro le parole occultano la realtà, se ne allontanano sempre di più perdendosi in un mondo linguistico astratto e artefatto. E chi non conosce la realtà non può giudicarla rettamente. 

DEPOTENZIARE LE PAROLE
Terza modalità per seppellire un mondo vecchio: depotenziare i termini, uno dei tanti addentellati del cosiddetto pensiero debole. 
Natura, da termine di carattere prima di tutto metafisico, è diventato solo un sinonimo di ambiente; anima si è svilita in un termine tra il romantico e il New age e non indica più la forma razionale dell'uomo; amore non è più volere il bene dell'altro o non significa più donazione totale, ma solo un moto emozionale. Anche gli stessi termini di "bene" e "male" hanno perso di oggettività - e quindi di forza e vigore contenutistico - e indicano solo opinioni soggettive. Il filosofo Thomas Hobbes (1588-1679) lo spiegava con lucidità nel suo Leviatano: "Bene e male sono nomi che significano i nostri appetiti e le nostre avversioni". Contenitori semantici vuoti che ognuno riempie a piacere: per me l'aborto è male, per te è bene. Depotenziare significa svilire e quindi la parola porta con sé un'aura di stigma sociale che va al di la del suo significato e colpisce chi la usa. Parole come "autorità", "famiglia", "pudore" suscitano o repulsa o ilarità o scherno oppure riprovazione.

MONDO NUOVO, PAROLE NUOVE
Transitiamo alla pars costruens. Un mondo nuovo, ha bisogno di parole nuove per descriverlo. Tale processo può articolarsi attraverso le seguenti pratiche linguistiche. L'uso dei neologismi. Oggi viviamo in una selva di neologismi: "genitore sociale" (per indicare una persona, spesso omosessuale, che ha frequentato i figli di un'altra persona a cui è legata affettivamente); "donna- biologica" per indicare ii transessuale uomo che ha subito la rettificazione sessuale; "omofobia" termine inesistente in letteratura scientifica ma coniato ad hoc per sdoganare l'omosessualità ed attaccare la famiglia; "eco-morire" perché il termine "eutanasia" farebbe capire a tutti che si tratterebbe di un omicidio; "femminicidio" per far intendere che siamo di fronte ad un nuovo genere di omicidio di dimensioni spaventose quando invece la Relazione del Ministero dell'Intero al Parlamento ci informa che il numero di donne uccise decresce e invece il numero di vittime maschili è superiore a quelle femminili e in continua crescita; "animali non umani" per far intendere che le bestie sono persone e le persone bestie. Una seconda tecnica linguistica efficace per erigere un mondo nuovo è quella di mutare un termine da un ambito proprio ad uno improprio. Spieghiamoci con alcuni esempi. Le unioni civili vengono definite dalla legge 75/2016 come "formazioni sociali" ex art. 2 della Costituzione. Ma le formazioni sociali, minute alla mano dei lavori preparatori dei padri costituenti, sono invece i partiti politici, le confessioni religiose, i sindacati, etc. non certo le coppie omosessuali. La furbizia linguistica sta nel fatto che si mutua una espressione da un ambito e la si trasferisce in un altro ambito snaturandone però il senso. Caso poi paradigmatico è il lemma "genere". Questo termine è stato prelevato a forza dalla grammatica latina dove abbiamo appunto i generi maschile, femminile e neutro e introdotto in psicologia e sociologia per far credere che esiste anche il sesso/genere neutro. Operazione linguistica ideata dal prof. John Money che fonda nel 1965, all'interno dell'Università John Hopkins, la Clinica per l'identità di genere.

LA PERSUASIONE LINGUISTICA
Infine esiste una terza tecnica comunicativa utile agli ideologi: la persuasione linguistica. Non è sufficiente inventarsi parole nuove, importarle da altri contesti o sostituire quelle vecchie con altre, è indispensabile anche che tali nuovi lemmi siano accettati dal popolino. Per raggiungere lo scopo ci sono molte soluzioni. Qui ne esaminiamo solo due. La prima fa riferimento all'uso degli slogan. Questi ultimi servono per sintetizzare un pensiero complesso - e quindi per loro natura rappresentano una tecnica comunicativa valida - ma spesso dietro lo slogan c'è poco o nulla.
Lo slogan non di rado diffonde un modo di pensare senza fondamento e proprio perché è sintetico è necessariamente ambiguo, allusivo: dice tutto e niente, quindi di suo è difficile da attaccare perché devi spiegare molte cose per smontarlo. Lo slogan è invettiva e quindi è una freccia scoccata al lato emotivo della persona, al suo cuore, al suo immaginario, ai suoi sogni e desideri. È teso più ad eccitare gli animi, a persuadere che a descrivere e a provare la fondatezza di una tesi. 
Gli slogan servono per suggestionare, per persuadere e convincere, ma spesso dietro gli slogan c'è il vuoto, non ci sono argomentazioni valide. Ecco alcuni esempi di ieri e di oggi; Dio è morto, falce e spinello cambiano il cervello, siamo realisti esigiamo l'impossibile, l'utero è mio, love is love, diritto al figlio, vietato vietare, carpe diem, la morale cambia, l`amore può finire, va' dove ti porta il cuore, meglio divorziare che far soffrire i figli, essere se stessi, rispettare l'opinione degli altri.
Una seconda strategia per persuadere le folle è l'uso di termini talismano. Ve ne sono alcuni con accezione positiva, parole correlate "da un'aura di prestigio per cui quasi nessuno osa discuterli" (Lopez Quintas). È sufficiente accostarle a qualsiasi parola e questa diventa positiva. Sono il Re Mida linguistico, il passepartout per ribaltare il senso morale di alcune condotte. Oggi le più usate sono libertà e diritto. E così abbiamo il diritto di abortire, ad avere un figlio, di "sposarsi" per le persone omosessuali, i diritti degli animali, la liberta di morire, di cambiare sesso, di divorziare, etc. Per tacere di altri termini talismano molto in voga in casa cattolica come accoglienza, misericordia, inclusione, incontro, dialogo, etc. Ma esistono anche le parole talismano di senso negativo, termini la cui accezione è solo dispregiativa e che condannano socialmente la realtà o i soggetti a cui sono riferiti: "reazionario", "conservatore, "moderato", "revisionista" (ma la storia può essere oggetto di revisione), "fideista", "integralista cattolico" (è un complimento, perché il cattolico deve accettare la dottrina integralmente e viverla integralmente). O anche semplicemente "cattolico".

Nota di BastaBugie: nel romanzo "La fattoria degli animali" veniva descritta in maniera simbolica l'avvento del comunismo in Russia. Ma tale vicenda diventa paradigmatica di ogni totalitarismo, di cui il controllo del linguaggio diventa passaggio obbligato per imporre al popolo i velenosi frutti della rivoluzione.
Ecco il link all'articolo e al video del cartone animato tratto dal romanzo:

LA FATTORIA DEGLI ANIMALI, UN ROMANZO IMPERDIBILE
Ogni rivoluzione propone un obiettivo ingannevole: la libertà, ma sganciata dalla verità... e quindi finisce nel totalitarismo (VIDEO: La fattoria degli animali)
di Maria Vittoria Pinna

venerdì 16 dicembre 2016

umani o animali?

di Enzo Pennetta
Nell’elaborazione di un nuovo progetto editoriale per Il Timone mi sono trovato nella necessità di consultare un libro del filosofo bioeticista Peter Singer, uno dei più influenti a livello mondiale. Un libro pubblicato in lingua originale nel 1994 e in Italia nel 1996 dal titolo Ripensare la vita, con grande fortuna sono riuscito a trovarne una delle due copie disponibili tra Roma e provincia in una biblioteca in zona S. Giovanni e l’ho presa per cercare un passaggio di cui avevo solo letto una citazione.
Trovatolo sono poi passato a leggere altri capitoli scoprendo che c’erano molte altre cose interessanti nel libro, una in particolare riguarda il capitolo ottavo intitolato Verso il superamento della discontinuità che inizia con un esergo di Richard Dawkins:
“Per chi ha una visione discontinua delle cose, quello di umanità è un concetto assoluto.
Di mezze misure non possono esservene.
E ciò è causa di molti guai.”
Dawkins si conferma il trait d’union tra scienza e uso ideologico della stessa, Singer è sul versante di chi afferra lo strumento offerto per tradurlo in ricadute sociali. Il capitolo in questione è tutto un ripercorrere la storia della visione dell’Uomo rispetto agli animali, percorso pieno di luoghi comuni e forzature, si va infatti dalla visione copernicana che avrebbe tolto l’Uomo dal centro dell’universo (peccato che nella concezione dantesca il centro era il punto più basso e della creazione e sede di ciò che è imperfetto), alle solite vicende di Giordano Bruno e Galilei, che ovviamente sono riportate come vulgata comanda, per approdare infine a Darwin che avrebbe portato a compimento la rivoluzione copernicana togliendo all’Uomo il suo posto tradizionale.
Una narrazione da fare invidia a Dan Brown, si potrebbe chiamare “Il codice Singer”, un segreto terribile: l’Uomo è uguale agli animali. Ma un segreto che si basa su falsità e quindi il vero segreto che deve essere mantenuto sono le sue fallacie.
Per Singer, dopo il compimento dell’equiparazione tra uomo e animale compiuto da Darwin (e Thomas Huxley), lo status speciale dell’Uomo ha ricevuto diversi “scossoni”:
La questione ambientalista che mette in discussione la signoria dell’Uomo sulla natura ereditata dal cristianesimo.
L’emergere negli anni ’70 del movimento di liberazione degli animali.
Alcuni primati, tra cui un gorilla, hanno imparato il linguaggio dei segni, quindi la parola non è una prerogativa umana.
L’emergere delle conoscenze sulle scimmie e la scoperta delle differenza del DNA umano e degli scimpanzè dell’1,6%.
Argomenti la cui fallacia può essere facilmente dimostrata:
La questione ambientalista potrebbe dimostrare la signoria dell’Uomo sulla natura, infatti solo la specie umana ha la possibilità di preservarla o distruggerla, cosa che nessun altro essere vivente può fare.
I movimenti di liberazione degli animali partono dal dogma che uomini e animali siano uguali, usarli per dimostrare che uomini e animali sono uguali è una banale tautologia.
La sicumera ostentata da Singer nel suo libro sull’analogia tra linguaggio animale e umano è stata impietosamente demolita dallo studio “The mystery of language evolution” del 2014.
La differenza percentuale tra DNA umano e di scimpanzè pari all’1,6%, una comunanza del 98,4% che diventa non significativa a fronte del 95% che ci unisce ai topi e al 50% che ci vede accomunati alle banane.
In definitiva nel suo libro Singer non solo non dimostra la sua tesi sul ripensare la vita umana, ma riesce benissimo a far capire come il darwinismo sia stato fin dal principio un puntello indispensabile per far passare un’antropologia riduzionista e riduttiva, una narrazione funzionale ad una visione sociale utilitaristica, quella che ho definito come “L’invenzione dell’antropologia capitalista”.



giovedì 15 dicembre 2016

Robert Hugh Benson e Thomas Becket

di Luca Fumagalli

Thomas Becket per mons. Benson non era un santo qualsiasi. Come Thomas More anch’egli incarnava uno degli elementi decisivi della poetica dello scrittore inglese: la perenne lotta tra le forze dello spirito e le tentazioni secolari, tra la Chiesa e il mondo, tra Cristo e Cesare. La storia del vescovo che sfidò il suo re e che per questo venne brutalmente martirizzato, anticipava di qualche secolo il dramma della Riforma che, a partire da Enrico VIII, avrebbe devastato per sempre il cattolicesimo britannico. Non stupisce quindi che, al di là dei numerosi romanzi storici ambientati nel XVI secolo, Benson abbia pensato nel 1908 di pubblicare un agile saggio, intitolato The Holy Blissful Martyr Saint Thomas of Canterbury, dedicato proprio alla parabola esistenziale di Becket, dall’infanzia fino alla morte gloriosa.
Il progetto, cominciato qualche anno prima con la collaborazione di Frederick Rolfe “Baron Corvo”, era stato proseguito in solitaria da Benson, dopo che il rapporto tra i due era naufragato a causa di litigi e incomprensioni. Il sacerdote stravolse totalmente l’impianto iniziale – che prevedeva la scrittura di un vero e proprio romanzo – per ripiegare su un lavoro meno pretenzioso, una plaquette dai toni didascalici, abbellita da vivaci digressioni e ampi squarci descrittivi.
Thomas Becket, nato nel 1118, era un giovane promettente, certamente destinato a una grande carriera nei ranghi della burocrazia inglese. In effetti, l’abile oratoria, la profonda scienza e le spiccate doti atletiche, lo rendevano un uomo prezioso per il sovrano di cui divenne presto intimo amico. Enrico II non rinunciava mai ai consigli di Thomas che sovente impiegava per le missioni diplomatiche più delicate. Nel 1154 lo nominò addirittura Lord Cancelliere, cioè primo ministro del regno. Seppur riluttante, nel 1162 Becket venne eletto infine Arcivescovo di Canterbury per volontà del re, che desiderava evitare i conflitti che avevano caratterizzato i suoi rapporti con il precedente arcivescovo.
Lo scontro tra Thomas ed Enrico, a questo punto, divenne inevitabile. Il Plantageneto, da sempre interessato a limitare i privilegi del clero inglese, emanò nel 1164 le famigerate “Costituzioni di Clarendon” credendo di trovare un alleato nel nuovo primate. Naturalmente si sbagliava. Becket non aveva mai dimostrato una grande predilezione per il sacerdozio, ma aveva coltivato una profonda fede sin dalla gioventù, comunicandosi regolarmente, pregando ogni giorno e conducendo un’esistenza moralmente integerrima. Enrico II si trovò quindi ad affrontare un uomo disposto a tutto pur di salvaguardare i diritti della Chiesa e del Papa in Inghilterra. Fu così che nel 1170 Thomas Becket testimoniò con il martirio la superiorità di Cristo rispetto a qualsiasi re di questa terra: quattro sgherri lo uccisero mentre era raccolto in preghiera presso l’altare della cattedrale di Canterbury.
Non si sa se i quattro, armati fino ai denti, agirono di loro iniziativa per guadagnare il favore del sovrano che spesso si lamentava del fastidio procurargli dall’ex amico, o se invece eseguirono un ordine di Enrico. Quel che è certo è che al Plantageneto fu levato dai piedi un fastidioso impiccio. 
The Holy Blissful Martyr Saint Thomas of Canterbury, purtroppo mai tradotto in italiano, resta uno dei libri più commoventi di Benson, impegnato in un lavoro di ricostruzione storica e ideologica, recuperando nelle pieghe del tempo le ragioni che mossero tanti inglesi, di cui Becket fu solo il primo, ad arrivare alla “follia” di morire per Cristo. L’aureola di sangue che circonda la testa del morto è la corona del vero vincitore, di colui che ha guadagnato un regno glorioso che il mondo non potrà mai offrire: il Paradiso.

Resistenza e fedeltà alla Chiesa nelle epoche di crisi

  1. Infallibilità e indefettibilità della Chiesa
La Chiesa nella sua storia è passata attraverso le più gravi difficoltà: persecuzioni esterne come quelle che hanno caratterizzato i primi tre secoli di vita e che da allora la hanno sempre accompagnata, e crisi interne, come l’arianesimo del IV secolo e il Grande Scisma d’Occidente. Ma il processo di “autodemolizione”della Chiesa,“colpita da chi ne fa parte”, di cui Paolo VI parlava fin dal 1968, appare come una crisi senza precedenti per la sua ampiezza e profondità.
Lo diciamo in spirito di profondo amore al Papato, rifiutando ogni forma di gallicanesimo, di conciliarismo, di anti-infallibilismo, in una parola ogni errore che voglia diminuire il ruolo e la missione del Papato. Professiamo, con tutta la Chiesa, che sulla terra non esiste autorità più alta di quella del Papa, perché non c’è missione né carica più elevata della sua. Gesù Cristo, nella persona di Pietro e dei suoi successori, ha conferito al Romano Pontefice la missione di capo visibile della Chiesa e di suo Vicario. La costituzione dogmatica Pastor aeternus del Concilio Vaticano I ha definito i dogmi del Primato Romano e dell’infallibilità pontificia. Il primo afferma che il Papa ha una potestà di giurisdizione suprema, ordinaria ed immediata, sia su tutte e singole le Chiese, sia su tutti e singoli i pastori e fedeli. Il secondo dogma insegna che il papa è infallibile quando parla “ex cathedra”, vale a dire quando nella sua funzione di supremo Pastore definisce che una dottrina in materia di fede e di morale debba essere tenuta da tutta la Chiesa.

venerdì 9 dicembre 2016

La dittatura giacobina

Francia – Aborto, approvata legge che vieta di difendere la vita su Internet

Con una votazione per alzata di mano, l’Assemblea nazionale francese ha approvato nella serata di giovedì 1° dicembre in prima lettura la norma che aggiunge agli «ostacoli all’interruzione di gravidanza» puniti dalla legge anche quello «digitale».
La riforma, attesa ora dall’esame del Senato, nasce da un’iniziativa del governo socialista che punta a spegnere la voce dei siti Internet curati da varie associazioni a difesa della vita per sopperire agli effetti di un’altra legge fatta approvare esattamente un anno fa dalla maggioranza che eliminava la settimana obbligatoria di riflessione per le donne che stanno pensando di abortire. L’eliminazione di quello spazio nasceva dall’idea secondo la quale la donna non deve rendere conto a nessuno della sua decisione di abortire, che dunque da facoltà depenalizzata a certe condizioni diventa “diritto”. La conseguenza della cancellazione di qualsiasi figura con la quale la donna possa confrontarsi prima di decidere ne era l’inevitabile conseguenza.
L’ulteriore intervento normativo – apertamente liberticida – introduce una vera e propria repressione di presenze online che si propongono semplicemente di ascoltare e, se richieste, consigliare le donne alle prese con una scelta drammatica. Una riforma lungamente annunciata, contro la quale sinora non si è alzata nessuna tra le voci che abitualmente difendono la libertà di parola su Internet.

lunedì 5 dicembre 2016

Tommaso d’Aquino l’immortale maestro dei cattolici

di Fabrizio Cannone

I cattivi maestri di novecentesca memoria, i cui scritti ancora nuocciono in pieno XXI secolo, non debbono farci dimenticare i veri e i grandi maestri del passato, i quali restano come dei fari nella notte buia che a tratti sembra invadere la scena della vita contemporanea.
La figura di san Tommaso d’Aquino (1225-1274) non ha davvero più bisogno di presentazioni tra i cattolici e gli italiani di cultura media.
Ha bisogno invece, l’Angelico Dottore, di essere conosciuto, di essere diffuso, di essere studiato come un immenso portatore di sicurezza, di pace e di vera gioia. La pace infatti è la “tranquillità dell’ordine” (Agostino), è l’armonia tra le parti di un unico corpo (come i cittadini di uno Stato), ed è la fraternità che lega o dovrebbe legare gli associati, a vario titolo, tra di loro (di un paese, città, quartiere, borgo, impresa, sodalizio, etc.). E la gioia è la fruizione di questa vera pax christiana in cui tutti esercitano i propri diritti e osservano i propri doveri, e dove ognuno vive più per il bene comune che per i propri pur legittimi interessi. Eppure…
La difficoltà dell’accesso al pensiero filosofico-teologico-etico di Tommaso deriva anzitutto da due cause materiali, diverse e convergenti. La prima è, tradizionalmente, l’alto prezzo delle sue opere disponibili in libreria, specialmente la più nota tra tutte, la Summa theologiae. Summa (da poco ripubblicata dalle edizioni ESD di Bologna in una nuova eccellente traduzione italiana) da considerarsi come un monumento di inarrivabile sapienza e come la sintesi organica di secoli e secoli di ricerca, di riflessione e di pietà cristiana. La seconda difficoltà sta nella scarsa conoscenza, a livello della cultura diffusa, della logica del pensiero medievale, pensiero che anche nei licei odierni è trattato in modo sommario e generico, quasi en passant tra l’antichità greco-romana (da Socrate a Platone, da Aristotile a Seneca) e le magnifiche sorti progressive iniziate con l’Umanesimo e il Rinascimento.
Se invece i nostri liceali, assai numerosi oggi in Italia, ricevessero le giuste chiavi di lettura per comprendere la filosofia medievale e la scolastica (da farsi in parallelo con la storia politica e militare, la storia dell’arte e la storia della scienza), allora sono certo che S. Tommaso tornerebbe presto in auge, come lo fu sempre, tra gli studiosi veramente profondi, negli ultimi 4-5 secoli.
Le Edizioni Studio Domenicano, che ci hanno da poco offerto una nuova edizione integrale e bilingue della Summa, da diversi anni stanno realizzando una bella collana di testi tomisti di facile accesso, sia per il prezzo che, tutto sommato, per il contenuto (cfr. La Legge dell’amore, La virtù della speranza, La giustizia forense, etc. Si auspica vivamente che molti trattati tomisti, per esempio alcune delle Quaestiones disputatae, vengano riprodotti in opuscoli di dimensioni congrue e con annotazioni di aiuto al lettore).
Da poco si è (ri)aggiunto un nuovo strumento per l’iniziazione al pensiero di Tommaso: il Compendio diteologia (Utet, 2016, € 15.90). Questo Compendio tratta in modo accessibile i grandi temi del pensiero tommasiano e medievale: Dio e la creazione, la fede, la speranza, la carità, la vita eterna, la legge morale, la giustizia, il peccato, il male, il retto ordinamento della società e così via. Insomma l’Autore interpreta da par suo la necessaria tendenza umana verso le cose spirituali, non materiali, ma pur sempre decisive nella vita di ognuno. Al Compendio sono poi aggiunti come appendice alcuni opuscoli dell’Angelico in difesa della vita religiosa e del lavoro dei monaci, sia manuale sia nell’insegnamento universitario.
La figura del frate domenicano Tommaso d’Aquino è tutto meno che banale. Nato da nobile famiglia dell’Italia meridionale, entrò giovane tra i religiosi biancovestiti fondati dallo spagnolo Domenico di Guzmán (1179-1221). Amante della scienza, della virtù e della sapienza, studiò a Colonia e insegnò in varie parti d’Italia, oltre che alla Sorbona di Parigi.
La sua opera complessiva è fatta da decine di testi filosofici, esegetici e teologici che lasciano stupefatti lo studioso e perfino lo studente che si imbatte in essi: la logica che presiede all’opera di san Tommaso sembra essere più una “matematica divinamente ispirata” che una semplice ricerca fatta di accumulo, revisione e sviluppo.
Tutti i Pontefici della storia (dal XIII secolo ad oggi), e senza alcuna soluzione di continuità, hanno indicato in san Tommaso d’Aquino il teologo cattolico per eccellenza e, se questo non stupisce per i papi medievali e rinascimentali (l’Angelico fu canonizzato nel 1323 e dichiarato Dottore della Chiesa nel 1567), potrebbe stupire per quelli più recenti. Giovanni Paolo II ad esempio, in un importante documento del 1998, in cui stigmatizzava la separazione tra fede e ragione (n. 45) e notava come “uno dei dati più rilevanti della nostra condizione attuale consiste nella crisi di senso” (n. 81), proponeva il ritorno al pensiero dell’Aquinate in questi termini: “san Tommaso amò in maniera disinteressata la verità. Egli la cercò dovunque essa si potesse manifestare, evidenziando al massimo la sua universalità (…). Il suo pensiero (…) raggiunse vette che l’intelligenza umana non avrebbe mai potuto pensare” (Fides et ratio, n. 44).
Siamo convinti che tutti i problemi politici e sociali odierni, dalla crisi economica all’invasione dei migranti, dalla diffusione della droga e della violenza giovanile sino all’auto-demolizione dell’istituto familiare, potrebbero essere meglio impostati e risolti, almeno in potenza e in nuce, grazie alla saggezza secolare e davvero mirabile, di quei Maestri di vita e di pensiero che l’Italia ha lasciato, come eredità perenne, al mondo intero.

da: www.libertaepersona.org

giovedì 1 dicembre 2016

E all’improvviso fu il linguaggio

di Arnaldo Benini

Per Noam Chomsky il linguaggio umano è un evento senza precedenti e analogie. Perché solo noi? La risposta di Chomsky è naturalisticamente fondata. Le scienze naturali del linguaggio, nonostante le critiche, in particolare a questo libro scritto con l’informatico Robert Berwick, sono ancora alle prese con le idee geniali di Chomsky. Nel 1959 egli ripudiò (Language (35, 26-58,1959) la teoria, molto condivisa, del filosofo empirista B. F. Skinner, secondo la quale comunicazione animale e linguaggio sarebbero aspetti del comportamento imposto dall’ambiente. Gesti, movimenti e grida degli animali sarebbero antecedenti del linguaggio. Il contributo di chi parla all’acquisizione della lingua sarebbe insignificante, tutto dipendendo da fattori ambientali.
Chomsky obiettò che il passaggio dei meccanismi cerebrali della comunicazione animale all’uomo avrebbe dovuto lasciare una traiettoria evolutiva di cui non c’è traccia. Non c’è animale, nemmeno lo scimpanzé col quale condividiamo il 97% del genoma, che metta insieme due parole. Nessuna lingua, neanche quella di popolazioni isolate, ha tratti in comune con la comunicazione animale. Le proprietà essenziali della facoltà umana, secondo Chomsky, sarebbero emerse quasi all’improvviso(rispetto ai consueti tempi evolutivi) grazie, «a un ricablaggio probabilmente leggero» del cervello, in concomitanza, forse, con un discreto aumento del suo volume, circa 80mila anni fa, in una popolazione dell’Africa orientale.
Negli scimpanzé le aree corrispondenti al linguaggio sono più strutturate di quelle delle altre scimmie, ma molto meno che nell’uomo. Chomsky porta ad esempio il grande giro arcuato fra le aree della produzione e della comprensione del linguaggio, negli scimpanzé appena accennato. Negli scimpanzé le aree avrebbero iniziato a svilupparsi, per rimanere poi allo stato di 2 milioni d’anni fa. Perché? La spiegazione più verosimile è che il linguaggio umano non è sorto come mezzo della comunicazione. 
Al suo sorgere, e ancora oggi, il linguaggio – per Chomsky e altri linguisti e biologi, fra cui Francois Jacob – era ed è principalmente lo strumento dell’autocoscienza. Col linguaggio interiore nacquero la mente e il pensiero, più tardi la comunicazione. Pensiero e autocoscienza sono eventi dei lobi cerebrali prefrontali, che presero ad evolvere circa 2 milioni e 200mila anni fa, nella linea evolutiva dell’Homo. Non bastano le aree motorie e sensorie per parlare, bisogna avere qualcosa da dire. Quando i meccanismi nervosi del pensiero interiore furono connessi al sistema sensomotorio, nacque il linguaggio parlato, più tardi quello scritto. Ventimila anni dopo quella popolazione avrebbe preso a emigrare, portando nel cervello e diffondendo la struttura cerebrale del linguaggio.
Per Chomsky essa è la base della grammatica universale, esternalizzazione del parenchima cerebrale delle aree del linguaggio e matrice innata di tutte le lingue, anche di quella gestuale. Essa consente a chi sa bene una lingua di capire senza difficoltà enunciati mai sentiti prima e di crearne infiniti nuovi, come avviene nei bambini a partire dai 5-6 anni. La spiegazione razionalista di Chomsky della creatività del pensiero e del linguaggio è la più verosimile. Sordomuti hanno sviluppato una comunicazione gestuale in cui la categoria grammaticale del soggetto è all’inizio di ogni frase (PNAS 27,19249-19253,2005).
Grazie all’universalità dei meccanismi nervosi della grammatica i bambini imparano senza difficoltà la lingua madre, e anche più di una, e il messaggio di ogni lingua è traducibile in qualunque altra. La facilità d’apprendimento delle lingue in cui si cresce è un’eredità biologica specificatamente umana. Negli ultimi 50mila anni non sembra esser cambiato nulla di biologico: le aree frontali del cervello hanno prodotto un’evoluzione culturale che, dice Tattersall, dal linguaggio interiore dopo pochi millenni ha portato l’uomo sulla luna, mentre fino ad allora l’evoluzione culturale era stata lentissima. Sull’origine del linguaggio le opinioni divergono fra neuroscienziati, di regola consenzienti con la grammatica universale, e antropologi: molti pensano che esso sia talmente connesso alla condizione umana da dover essersi sviluppato in un tempo lunghissimo, simultaneamente forse all’evoluzione dei lobi prefrontali.
Ciò lascia senza replica l’obiezione di Chomsky, ribadita e accentuata nel libro, che un’evoluzione lenta e graduale deve lasciare tracce di stadi intermedi. In un mare di critiche, anche molto aspre, sembra naufragare la nuova teoria con la quale Chomsky e Berwick, avventurandosi nel terreno infido della spiegazione degli eventi della coscienza, spiegano come dalla materia del cervello della grammatica universale sia sorto, quasi improvvisamente, il linguaggio. Esso sarebbe comparso in seguito alla fusione (“merge”) di elementi sintattici in un’espressione più ampia. La capacità di “fondere” due (ad esempio libro e leggere in leggere il libro), poi migliaia di parole dei meccanismi della grammatica universale sarebbe la levatrice di tutte le lingue.
Essa si sarebbe manifestata inizialmente in un solo membro, che Chomsky chiama Prometeo, della popolazione africana che per prima acquisì il linguaggio. La critica più demolitiva della teoria senza dati è riportata nell’Economist (26 marzo 2016): la biografia di Chomsky ha in comune con Einstein che entrambi i geni scrissero le opere fondamentali in gioventù.

da: www.radiospada.org