lunedì 14 novembre 2016

“The Young Pope”: impressioni a caldo su Pio XIII

di Luca Fumagalli

Al termine della visione dei primi due episodi della nuova mini-serie “The Young Pope”, targata Paolo Sorrentino e in onda ogni venerdì su Sky Atlantic, lo spettatore è colto dalla strana sensazione di essere reduce da un viaggio al centro del cuore umano, dove le contraddizioni convivono nella più serena accettazione.
Chi si aspettava di assistere a qualcosa di paragonabile ad Habemus Papam di Moretti è rimasto deluso. Sorrentino è distante dalla fastidiosa orizzontalità morettiana, quella tendenza perniciosa per cui tutto è riportato sempre e comunque al mero livello umano. Il suo “realismo magico” di marca felliniana, in cui ogni cosa è segno di un mistero che la trascende, ben si adatta a trattare un tema, come quello del Papa e della Chiesa, che per sua natura non può essere volgarmente ridotto al solo aspetto materiale. Il risultato è convincente anche quando il regista napoletano è costretto dalla serialità a non allontanarsi troppo dagli stilemi del genere.
C’è qualcosa di affascinante e di inquietante nel carisma di Lenny Belardo (Jude Law), giovane cardinale americano eletto Sommo Pontefice con il nome di Pio XIII. Uomo del mistero, che non ama essere fotografato, abbandonato dai genitori quando era ancora un bambino, è una creatura che fa della sua debolezza, del non avere un passato, la sua arma più potente. Il suo unico peccato, stando a quello che dichiara al confessore, è che la sua coscienza non lo accusa di niente. Freddo, cinico e disincantato, ogni gesto è sapientemente ponderato, meditato affinché ottenga il massimo effetto con il minimo sforzo.
Le sue scelte imprevedibili – che culminano con il terribile discorso in Piazza San Pietro, pieno di odio per l’umanità e di sbraitanti inviti a occuparsi solo di Dio («Senza Dio si diventa morti») – sembrano orientate a dare nuovo lustro alla Chiesa, ristabilendo un potere del tutto simile a quello rivendicato da Gregorio VII o Bonifacio VIII. In tal senso la decisione di ripristinare l’uso della Tiara è emblematico, così come la battuta per cui «Roma è una frazione della Città del Vaticano» suona più come un programma politico. Per raggiungere l’obiettivo ogni cosa è lecita, compreso violare il segreto confessionale, allontanare da incarichi di prestigio un cardinale solo perché omosessuale o nominare segretario particolare una donna, suor Mary (Diane Keaton), che ha allevato il piccolo Lenny come una madre.
Eppure, in tutto questo, c’è un fondo di autentica umanità che è ineludibile. Esempio ne sono la lettera del bambino americano che il Pontefice piega con cura e porta con sé – utilizzandola anche come “falsariga” per il suo discorso d’esordio – o lo strano potere con cui sembra in grado di addomesticare anche gli animali più selvaggi (come il canguro che adesso corre libero per i giardini vaticani).
A rendere ancora più pepata la trama, intorno a Pio XIII non mancano intrighi e antagonisti. Oltre al cardinal Spencer, che si è visto soffiare il soglio petrino dal suo protetto, nell’ombra si muove anche Voiello (un brillante Silvio Orlando), il potentissimo e chiacchierato segretario di stato, volgarmente attaccato al potere, eppure capace di misericordiosa tenerezza verso i più deboli.
A caldo, quando mancano ancora otto puntate al termine della serie, è impossibile, naturalmente, dare un giudizio definitivo. Come si è detto, e come ricorda lo stesso Pontefice all’inizio del primo episodio, The Young Pope, al pari di ogni uomo, è un grumo di spunti contraddittori, in cui convivono intuizioni interessanti e caricature un po’ troppo spigolose. Difficile intuire poi a cosa miri veramente Pio XIII, se tutto quello che fa, compreso ciò che sembra sulle prime ruvido o viscido, non sia invece finalizzato a un bene superiore (lo stesso Belardo, del resto, ha un passato immacolato, senza vizi o lati oscuri).
Sorrentino, almeno per il momento, riesce a smarcarsi dall’opposizione tradizionalismo-progressismo, ponendo lo scontro di idee su un piano superiore, quando si parla delle tormentate coscienze dei protagonisti, e inferiore, quando la politica vaticana si riduce a prebende e scelte di merchandising. Se Pio XIII, nel suo virulento appello a Dio pare allontanarsi da un certo umanitarismo ecclesiastico attuale, allo stesso tempo, però, la sua impassibile lucidità lo rende detestabile, quasi disturbante.
Tra tutti i papi immaginati dalla letteratura, dal cinema o dal teatro, Belardo assomiglia molto, soprattutto per questi ultimi aspetti, a Lando II, protagonista dell’oscuro The Translation of Father Torturo di Brendan Connel, un uomo senza difetti, attraente e fisicamente prestante, ma disposto a tutto per diventare Sommo Pontefice (l’accanito tabagismo, invece, accomuna Pio XIII all’Adriano VII di Frederick Rolfe “Baron Corvo”).
Dopo i primi due episodi, The Young Pope conserva il fascino di un intreccio ancora tutto da sciogliere e, non c’è da dubitarne, le sorprese non si faranno attendere.

da: www.radiospada.org

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