giovedì 22 ottobre 2015

Sacro

di Marco Luscia

Il sacro si qualifica da sempre e presso tutti i popoli, come qualche cosa di una consistenza ontologica diversa. Il sacro non può essere confuso con il profano, altrimenti cessa di essere sacro, con grave pregiudizio per il profano che dovrebbe, a questo punto, vivere solo di se stesso.
Per questo, davanti ad un prete io non sono semplicemente davanti ad un uomo; quando si affermi questo, allora si fa del prete un semplice funzionario del divino. Dire che tutta la creazione appartiene a Dio, che ogni angolo di terra è sacro, per certi versi è corretto, ma questo non significa che non esistano più luoghi Sacri, come le Chiese o le Cattedrali, o che non abbia alcun senso battezzare o consacrare altari e persone. Alcuni sacerdoti ed intellettuali però di fatto sostengono questo anche se poi non hanno il coraggio di trarre le opportune conseguenze del loro ragionamento. Essi, nella sostanza, smantellano e il sacerdozio e la Chiesa, supponendo che esista una sola Chiesa legittima, quella che chiamano, deformando il dettame del Concilio: ” Popolo di Dio”. In tal modo si da vita ad un coacervo anarchico carismatico ” governato dalla libertà dello Spirito”. Se Gesù avesse voluto questo non avrebbe investito Pietro con il titolo di roccia della Sua Chiesa, dando vita ad una chiara definizione di ruoli. Gesù ha consacrato il mondo con la Sua opera, con la Sua parola, con la Sua morte e Resurrezione e consacrandolo ha offerto la Salvezza, l’ha posta a portata di ” mano”. Ma il mondo lo ha sempre contrastato; il mondo, nella sostanza ha bisogno di essere costantemente riportato dentro ” il tempio vivo di Cristo”. La semplice nozione di sacro infatti presenta tratti ambivalenti, sia positivi che negativi; per questo il sacro attrae e spaventa. Per questo avremo sempre bisogno di consacrati, e di gesti umani che per intercessione di Cristo, mutino la sostanza del nostro vivere profano; trasformando il sacro percepito intuitivamente, nel Sacro di Dio. Per questo il prete non è un semplice uomo che con l’ aiuto di Dio svolge una funzione particolare, per questo io devo poter riconoscere in lui qualche cosa di diverso da un semplice e volenteroso altruista, gestore delle cose di Dio. Se nel sacerdote trovo un altro me, allora non mi interessa. Concludo osservando che queste ragioni stanno alla radice dell’uso costante di proteggere la riservatezza, la sacralità della vita degli uomini di Chiesa. Una certa distanza, quanto più il titolo si fa ” alto “, conserva la nostra esigenza di mistero; forse per questo ” il mondo” ha tanta voglia di fare del prete ” uno di noi”, semplicemente per spegnere l’esigenza di Oltre, che l’abito in primis, rappresenta. Non so che farmene di un ” peccatore vestito di scuro” di un consacrato esprima una consistenza diversa; il “luogo” di una particolare presenza dell’eterno nel tempo.

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