mercoledì 30 settembre 2015
“Marranzano d’argento 2015″ a Tommaso Romano
di Maria Pia Iovino
Palermo, 22 settembre 2015 - Spessore e
commozione a Palazzo Branciforte. Due
eventi di preminente importanza socio-culturale, sia per lo spessore dei
relatori che, per l’essenza dei suoi elementi. Il primo, la presentazione del
libro “Mafia e responsabilità cristiana – Il grido del cardinale S. Pappalardo”,
edito da Prova d’Autore, saggio storico-biografico di Maria Pia Spalla
sul cardinale Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Palermo dal 1970 al 1996. Il secondo, la cerimonia di consegna del Marranzano d’Argento
2015 per la Letteratura e l’operatività culturale al palermitano prof. Tommaso
Romano. La consegna è avvenuta ad
opera del Prof. Mario Grasso, Fondatore del Marranzano d’Argento, riconoscimento
istituito nel 1974 ed assegnato puntualmente, ogni anno a rilavanti figure dell’Arte,
della Letteratura, della Cultura, dello Spettacolo e della Ricerca Scientifica siciliana,
tra cui Leonardo Sciascia, Michele Pantaleone, Giuseppe Fava.
Gli
interventi dei relatori hanno fatto leva, esaltandole, sulle caratteristiche,
la profondità e la sensibilità del Cardinale Pappalardo, uomo dalla
spiritualità, non avulsa e confinata entro le sfere clericali, ma attenta e controcorrente, nella lotta al
fenomeno mafioso in Sicilia, a Palermo. Lotta che, non sempre Chiesa e Politica
hanno saputo distintamente contrastare, mantenendo una posizione ambivalente
nelle sue sfumature, alimentando le tinte grigie che, negli anni hanno attanagliato,
oscurandola “la povera Palermo”.
Ne
hanno discusso il Prof. [1]Mario Grasso, la Dott.ssa Giulia Sottile, la Dott.sa Laura Rizzo e il Prof. Tommaso Romano. Tra i presenti, l’autrice
del saggio, la dott.ssa Maria Pia Spalla.
L’interesse e la cospicua presenza espressa dai partecipanti (personalmente
selezionati dal prof. Romano), con le generose ovazioni ai pensieri e
riflessioni esposte dai relatori hanno solo, potuto confermare le motivazioni
che hanno condotto la Direzione di LunarioNuovo e del gruppo C.I.AI. (Convergenze
Intellettuali e Artistiche Italiane) ad assegnare il prestigioso riconoscimento
del Marranzano d’argento 2015, per alti
meriti artistici-intellettuali al Prof. Tommaso Romano. Nel tentare di
rievocarli ed elencarli si rischia una descrizione ed una elencazione al
ribasso, compensata comunque, dalla notorietà e dall’apprezzamento del suo
contributo sociale alla società, diffusamente noto ed apprezzato: la sua
qualità di docente, cultore, pittore, saggista, sociologo, la sua sensibilità
ed il suo impegno per la letteratura, uniti alla sua solerzia e sollecitudine
alla promozione della crescita culturale del territorio, la sua capacità
organizzativa per eventi socio-politico-istituzionali di caratura nazionale ed
internazionale, non ultimo la dimensione di vero politico che è stato e
continua ad essere. In particolare, il Prof. Romano, estrapolando dal saggio di
Maria Pia Spalla, espressioni quali responsabilità, verità, bellezza,
profondità ha dato uno spaccato del profilo dell’ “uomo politico che dovrebbe servire
la politica”. L’uso del condizionale non è casuale, se si considera l’andamento
a caduta libera di uomini che, votandosi infaustamente alla politica, la
violentano, perché non vocati moralmente a governarla.
Senza
entrare merito del pensiero di [2]Cicerone
e la sua concezione della politica “res
publica id est res populi “(La cosa pubblica è cosa del popolo), oggi è
invalso lo scenario di una politica mancina, quella attuale in cui non si
scorge, secondo il professore Romano, la capacità di muoversi in una dimensione
di verità, non solo e non necessariamente spirituale. Invero, manca la capacità
di testimoniare il trascendente. Uno Stato, un governo nel quale, non ci si
assume la responsabilità del proprio dire e delle proprie azioni, le
responsabilità dei misfatti posti in essere lungo l’arco del proprio mandato
senza l’umiltà di fare un passo indietro laddove le circostanze lo richiedono, questo
Paese evoca alla memoria sistemi che, causticamente aggrediscono l’ordine
costituito, di cui diversi servi, anche nella Chiesa, si sono prestati
impegnati, per assicurare la pace, il riscatto e l’armonia dei popoli.
Pertanto,
inevitabile cogliere dall’analisi del prof. Romano, una sollecitazione
attraverso cui ciascuno, da par sua, possa
contribuire a mantenere, difendendola, la dimensione della politica giusta,
denunciando, le ingiustizie, le viltà, l’ignavia di ambigue personalità
politiche, la loro banalità e profondere per converso, il proprio impegno per
restituire il buon governo, la sacralità di ciò che è sacro, relegando nelle
sedi opportune coloro che turbano e deturpano il bello e il bene comune che la
legge, il buon senso e lo spirito che alberga nell’anima di ogni cristiano
sanno riconoscere e proteggere!
[1] Mario Grasso - Direttore letterario di una casa editrice,
nonché della rivista letteraria "Lunarionuovo" e della "Gazzetta
dialetti" di cui è fondatore. Il suo impegno inizia in qualità di critico
letterario presso il quotidiano "La Sicilia",
mantenendo le continue collaborazioni alle terze pagine dei quotidiani "Gazzetta di Parma"
e "Messaggero Veneto". Pubblica ogni settimana dal 1995 sul quotidiano
"La Sicilia" una rubrica settimanale di filologia e costume
"Vocabolario". Ha tradotto e curato un'antologia delle opere di Taras Hryhorovyč
Ševčenko per la quale riceve
il "Premio Internazionale Franko" a Kiev, assegnato l'anno precedente a Gabriel García
Márquez. Il 3 giugno 2015 l'Accademia di scienze, lettere e belle arti degli Zelanti
e dei Dafnici gli conferisce la
carica di Socio Corrispondente nella classe di Lettere e Belle Arti.
[2]
Definizione
di res publica
(De re publica I, 25 - 26,). É
dunque" disse l'Africano "la repubblica la cosa del popolo. Non é
popolo una qualsiasi riunione d'uomini comunque messa insieme, ma quella
riunione d'uomini che diventa società per il riconoscimento di un diritto comune
e di un comune pratico scopo. E la causa prima di questa riunione é non tanto
la debolezza dei singoli quanto una naturale inclinazione degli uomini a vivere
insieme. Il genere umano non é fatto di solitari e di solivagi ma di esseri
generati in modo che anche se avessero la più grande abbondanza di beni ...
"tutte le cose eccellenti hanno un qualche fondamento naturale tanto che
né le virtù né la società riposano su d'una semplice convenzione. E quelle
società, formatesi per le ragioni che ho già esposte, si scelsero dapprima una
sede fissa per il loro domicilio e questo luogo, fortificato dalla loro arte e
dalla natura e raggruppante insieme tutte le case, dopo averlo diviso con
piazze e avervi costruiti i templi, chiamarono castello o città. Ogni popolo
dunque, cioè quella particolare riunione di gente ch'io vi ho già definita:
ogni Stato, cioè il particolare assetto politico d'un popolo: ogni Repubblica,
effe com'ho detto, é del popolo il bene comune, ha bisogno, se vuol durare,
d'un governo intelligente. E questa intelligenza di governo va riferita,
innanzi tutto, alla causa cui lo Stato deve la sua origine.
lunedì 28 settembre 2015
Un’istituzione di prestigio: il Senato di Roma
di Lino Di Stefano
La quasi
totalità degli Stati del mondo ha due Camere legislative che formano il Parlamento: una Assemblea dei
Deputati e un Congresso di Senatori; sono, infatti, poche le Nazioni con una
sola Camera preposta a legiferare e spesso si tratta di Paesi di piccole
dimensioni. Due Camere perché, pur nella differenza dei ruoli, esse sono
preposte al controllo dell’’iter’ delle leggi
Ora, è giusto che un ramo parlamentare
verifichi ciò che fa l’altro corpo legislativo, ma, visto che da alcuni anni
esistono nel nostro ordinamento Province, Regioni ed altri enti locali, è
altrettanto doveroso che, nella fattispecie al Senato, siano ascritti compiti
diversi, ma importantissimi.
Adesso, alcune forze
politiche – col pretesto che il Senato è un doppione della Camera – vorrebbero
cancellare questa nobile istituzione le cui radici affondano nei millenni,
fermo restando, altresì, che il solo Senato della Repubblica sarebbe più che
sufficiente a legiferare in una Nazione media come l’Italia, visto, altresì,
che i Parlamenti hanno vita più breve essendo nati, esattamente, in Italia durante
la civiltà comunale. L’attuale Camera dei Deputati – composta da quasi mille
membri – è solo un impaccio solo se si consideri la patologica durata della
discussione e della formazione degli ordinamenti giuridici.
Vediamo, adesso, un po’
la storia di primi organi legislativi ad iniziare dalla Grecia dato che già in
epoca omerica esisteva un Consiglio degli anziani, compresa Sparta ed altre
città ellenizzate. Solo a Roma, però – è doveroso riconoscerlo – il Senato
diventò una delle istituzioni basilari dello Stato con responsabilità sia nella
politica interna , sia nella politica estera. Nato, ‘ab initio’, come consiglio
del Re, la sua composizione era basata sull’età e sulla dignità del cittadino
proveniente dalla magistratura.
Nei primi tempi, i componenti
del Senato erano scelti soltanto tra i patrizi, da cui il nome ‘patres’ attribuito ai
senatori; in seguito, anche tale
Assemblea, in età repubblicana, operò delle aperture nei riguardi dei plebei
sebbene nel Senato restasse in atto la distinzione fra senatori patrizi,
appunto, ‘patres’, e senatori plebei, detti ‘conscripti’, cioè aggiunti. Il
Senato di allora poteva riunirsi solo dietro iniziativa del magistrato il quale
lo presiedeva.
La presenza
nell’Assemblea era obbligatoria e le sedute non erano pubbliche, mentre, dal
loro canto, i tribuni della plebe potevano assistervi restando fuori dell’aula
parlamentare. Per quanto riguarda le funzioni del Senato, alcune erano di
esclusiva spettanza patrizia, come la nomina dei supplenti. Com’è noto, gli
atti del Senato erano i ‘senatoconsulti’ diretti ai magistrati che li
richiedevano sebbene non fossero vincolanti. I senatoconsulti acquistarono,
invece, rilievo durante il periodo imperiale assumendo valore di legge.
Per quanto riguarda il
numero dei senatori, Romolo ne stabilì 100 diventati, poi, 300 anche se la
cifra oscillò sempre fra 300 e 600 componenti, mentre Cesare portò il numero a
900 unità; per quel che concerne i senatori plebei, essi dapprima ebbero solo
il diritto di voto ma, poco dopo, anche
quello di parola. Nel IV sec. a. C., Appio Claudio Cieco fece entrare in
Assemblea i figli dei libertini onde applicare la prescrizione del plebiscito.
Il seggio senatoriale
era vitalizio e i componenti di tale Congresso portavano come segno distintivo
sulla porpora una fibbia d’avorio e, dal II sec. a. C., un anello d’oro;
abbiamo detto che le sedute in Senato erano obbligatorie e il magistato
convocante poteva infliggere agli assenti una multa o la ’pignoris capio’. Dopo Silla, il Senato poteva vietare la
convocazione dei comizi pena la non
validità del senatoconsulto.
In politica estera, il
Senato ebbe una funzione di primo piano perché riceveva le ambascerie e
ratificava i trattati internazionali emanando anche le leggi da estendere ai territori
acquistati o occupati; esso, inoltre, presiedeva alla vita religiosa, vigilava
sui comizi, dirimeva le vertenze e sorvegliava tutte le forme di vita sociale.
E ‘Senatus Populusque
Romanus’ rimase ognora sinonimo di garanzia giuridica, nel mondo latino. Dopo le
guerre civili e con l’Impero, il Senato, pur conservando, la propria autorità,
dovette subire limitazioni a causa della forza del Principe che disponeva di un
potere praticamente assoluto.
Ora, come tutti sanno,
si sta discutendo nelle nostre due Camere la legge sull’abolizione del Senato
elettivo da sostituire con un’Assemblea nella quale i consiglieri regionali
diventerebbero senatori con competenze non legislative, bensì relative ai
problemi degli enti locali. Un pasticcio, a nostro giudizio, che se passasse
svilirebbe, ‘in toto’, il prestigio di un organo deliberativo e consultivo risalente, come abbiamo accennato all’inizio, al
primo Re di Roma e cioè Romolo.
Anzi, sempre come
abbiamo indicato poc’anzi, ad una Nazione delle dimensioni dell’Italia
basterebbe solo il Senato come organo legislativo considerato, inoltre,
l’autorità di cui ha goduto fino ad oggi e, si spera, più avanti. E se qualcuno
persevera nel vedere il Senato come un doppione svilito di ogni prestigio,
sappia, invece, che sarebbe da eliminare, proprio la Camera dei deputati non
solo perché di formazione recente, ma soprattutto per il numero esorbitante dei
suoi componenti: quasi mille!
Ma, a nostro giudizio,
una soluzione ci sarebbe, volendo mantenere in funzione sia la Camera che il
Senato ed essa consiste, da una parte, nella drastica diminuzione degli
onorevoli – 300 per la Camera bassa e 150 per la Camera alta sarebbero più che
sufficienti – e dall’altra, proprio per snellire le procedure, attribuire ad
una sola Assemblea il compito di concedere la fiducia al governo.
Personalmente, siamo
per il Senato della Repubblica, ma se si dovesse giungere ad assegnare alla
Camera dei deputati la responsabilità di accordare la fiducia al governo,
‘nulla quaestio’. In tale maniera, ci sarebbe un vero snellimento dei vari
‘itinera’ formalistici e un non meno efficiente snellimento della macchina
burocratica.
Parafrasando il famoso
detto latino, si potrebbe concludere, al riguardo, affermando: “Caveant
senatores ne quid res publica detrimenti capiat”.
Le sei regole della ricerca della Verità
di Giacomo Samek Lodovici
Cercare la verità ci
migliora perché ci fa conoscere la nostra vera natura, il senso della vita ed
il nostro vero bene
Per riuscire, almeno in parte, a trovare la verità, per riuscire a conoscerla
il più possibile, sono di grande aiuto alcune utili "regole".
Vediamone di seguito almeno sei, seguendo in larga parte le riflessioni
dell'ultimo intervento pubblico di Emanuele Samek Lodovici, pubblicato postumo
da pochissimo.
1) CHIARIFICARE LO SCOPO
Bisogna chiarificare a se stessi il fine della ricerca della verità, il quale
non è in primo luogo fuori di noi, non è in primo luogo una qualche
trasformazione del mondo (sebbene questa possa poi essere giustamente
perseguita in seguito), bensì è il nostro perfezionamento: la ricerca della
verità dovrebbe vertere anzitutto e principalmente sulle grandi domande
esistenziali («chi sono?», «qual è la mia origine?» «qual è lo scopo della mia
vita?» «esiste Dio?» «perché c'è la sofferenza?», «siamo liberi?», «in che cosa
consistono il bene e il male?», ecc.) e dovrebbe servire a migliorarci,
dovrebbe aiutarci a ben vivere e a ben morire. L'investigazione della verità su
queste grandi questioni ci migliora perché ci fa conoscere la nostra vera
natura, il senso della nostra vita ed il nostro vero bene. Insomma, nella vita
non conta innanzitutto (pur avendo la sua importanza) ciò che faccio, bensì
come lo faccio (come a teatro, dove la comparsa può essere migliore del
protagonista, perché interpreta meglio il suo ruolo, pur breve e piccolo). E
questa convinzione è antitetica rispetto a quella delle ideologie (emblematica
la famosa 11^ tesi di Marx su Feuerbach: «i filosofi si sono finora sforzati di
interpretare il mondo, si tratta [piuttosto] di cambiarlo»).
Ciò vuol dire che dobbiamo cercare una giusta proporzione tra ciò che sappiamo
per via della nostra professione o per interesse e ciò che dobbiamo sapere come
uomini: posso sapere tutto sull'informatica, sull'economia, sullo sport, ecc.,
ma, senza voler sminuire le varie sfere dello scibile, quello che conta
principalmente è saper rispondere, almeno in parte, alle grandi domande.
Peraltro, se è vero che l'investigazione sulle grandi domande è tipica delle
discipline umanistiche, nondimeno anche quelle scientifiche possono in parte
contribuirvi.
Infatti, la scienza può registrare il finalismo dei viventi, che rinvia
all'Autore del mondo (la propensione verso l'autoconservazione dei viventi,
delle parti delle loro parti, ecc. esige una serie di attività che richiedono
un'Intelligenza Superiore che abbia creato i viventi: per un'argomentazione su
ciò cfr. G. Samek Lodovici, L'esistenza di Dio, Quaderni del Timone, 2004).
Come dice il salmo 8: «i cieli narrano la gloria di Dio»; cfr. anche la Lettera
ai Romani 1, 19-21; anche Galileo diceva che la natura è uno dei libri scritti
dal Creatore, insieme alla Bibbia.
E la matematica può fornire gli strumenti per rendere conto del finalismo.
Inoltre, ogni disciplina contribuisce almeno indirettamente alla ricerca della
verità sulle grandi domande nella misura in cui potenzia lo strumento di questa
ricerca, cioè la ragione e quest'attività di potenziamento è cruciale
soprattutto oggi in tempi di emozionalismo (cfr. punto 4).
2) COLTIVARE LE VIRTÙ NECESSARIE
Bisogna essere umili, ed evitare l'orgoglio, perché chi è orgoglioso
difficilmente riconosce di sbagliare e persevera nel difendere una tesi falsa
per non dover ammettere di aver sbagliato.
Del resto, per conoscere bisogna voler conoscere ed esercitare virtù
preziosissime nella ricerca intellettuale, come la fortezza, l'onestà
intellettuale, la costanza, ecc.
3) EVITARE IL MALE
Bisogna inoltre anche evitare il male. Infatti, chi compie il male non solo fa
fatica a compiere in concreto il bene, ma fa anche fatica a capire qual è il
bene, o non arriva più a comprenderlo. La distorsione della comprensione morale
è simile (l'analogia è di Aristotele) a quella del gusto: chi è malato giudica
erroneamente i sapori (oppure sente freddo/caldo quando invece la temperatura è
gradevole), perché le sue disposizioni fisiche sono alterate e perciò il gusto
è falsato. Chi è lussurioso, ad esempio, fatica a percepire che la temperanza è
bene e chi è temerario fatica a percepire che la cautela è (a volte) una virtù.
4) VAGLIARE LE EMOZIONI
Bisogna evitare di seguire solo le emozioni perché non sono fonte indefettibile
di verità: possono depistarci, non possono essere il criterio del nostro
comportamento, non possiamo seguire la regola che dice «va dove ti porta il
cuore» e non è vero che «il cuore ha sempre ragione» (su ciò cfr. G. Samek
Lodovici, il cuore ha sempre ragione?, «il Timone», 86 [2009], pp. 30-31,
reperibile su www.iltimone.org,
e Id., L'emozione del bene. Alcune idee sulla virtù, Vita e Pensiero, 2010, pp.
23-84).
Non si tratta affatto di bandire le emozioni, bensì di vagliarle con la
ragione: quando ciò accade, esse diventano un'energia straordinaria, che
incrementa la nostra capacità di agire.
Se però non le sottoponiamo alla ragione e le assecondiamo continuamente,
diventiamo progressivamente sempre meno liberi.
E chi perde la libertà difficilmente riuscirà a conoscere la verità, perché
sarà facile conculcargli delle menzogne facendo leva sulle sue pulsioni.
5) COLTIVARE LO SPIRITO DI MERAVIGLIA
Per conoscere la verità bisogna essere desti nei riguardi della realtà e
coltivare lo spirito di meraviglia (da cui nasce la filosofia, come dicono già
Platone e Aristotele; cfr. anche Gregorio di Nissa: «Solo lo stupore conosce»).
Bisogna sapersi stupire, bisogna mantenere lo stupore dei bambini, bisogna
continuare ad essere colpiti ed affascinati dalle cose preziose e belle che
esistono.
Come coltivare lo spirito di meraviglia? In due modi apparentemente
contraddittori.
- Bisogna evitare di vivere solo nel futuro (pur progettandolo, come è giusto),
sempre nell'attesa di qualcosa di ulteriore (è la strategia delle ideologie
rivoluzionarie, cfr. G. Samek Lodovici, Ma come parla?, «il Timone», 101
[2011], pp. 30-31, reperi-bile su www.iltimone.org), altrimenti non si apprezza il presente e
si è incapaci di stupirsene.
- Bisogna anticipare nella mente la fine di tutto ciò che sperimentiamo: tutto
ciò che viviamo e sperimentiamo potrebbe accadere per l'ultima volta, o perché
non ci capiterà più quella cosa (si legga la poesia Limiti, di J.L. Borges) o
perché possiamo morire di lì a poco (cfr. il monito evangelico: «siate sempre
pronti»). Se viviamo con questa consapevolezza possiamo apprezzare molto di più
le cose belle.
6) AFFIDARSI AD UNA SOLIDA RIVELAZIONE
Bisogna esercitare la ragione quanto più possibile, ma anche essere consapevoli
che da sola non può formulare una risposta definitiva sul senso della vita, sul
bene e sul male, sulla sofferenza, sulla destinazione ultima dell'uomo:
«l'ultimo passo della ragione consiste nel riconoscere che c'è un'infinità di
cose che la sovrastano» (Pascal), di cose che sono accessibili solo con la fede.
È l'ultimo passo della ragione, perché la ragione dovrebbe riconoscere di non
essere onnipotente e dunque di non poter conoscere tutte le cose.
Del resto, paradossalmente, il razionalismo è un fideismo, perché crede, in
forza di una fede cieca e incrollabile, che la ragione possa conoscere la
totalità della realtà, squadernandola tutta, prima o poi.
Arrivata ad una certa soglia, la ragione deve cioè riconoscere umilmente di
avere bisogno di una solida e credibile Rivelazione (sulla quale peraltro eserciterà
il suo vaglio: le religioni, infatti, sono molte e differiscono in moltissime
affermazioni). Proprio una simile Rivelazione desiderava Platone, quando diceva
che circa i destini ultimi dell'uomo si può «accettare tra i ragionamenti
umani, quello migliore [...] e su quello, come su una zattera, affrontare il
rischio del mare della vita [...]. A meno che non si possa fare il viaggio in
modo più sicuro e con minor rischio su una più solida nave, cioè affidandosi ad
una divina rivelazione». Ebbene, la solida nave a cui anelava Platone è
costruita - come dice S. Agostino sette secoli più tardi - col lignum crucis:
«Nessuno [...] può attraversare il mare di questa vita, se non è portato dalla
croce di Cristo».
da:"il Timone",
maggio 2015 e BastaBugie n.419
venerdì 25 settembre 2015
lunedì 21 settembre 2015
Premio Nazionale di Poesia "Himera"
Si
avvia alla Cerimonia di premiazione, il Premio Nazionale di Poesia Himera con
una sezione speciale dedicata agli studiosi del sito archeologico.
Domenica
27 Settembre alle ore 17,30, presso l’Aula Consiliare del Comune di Termini
Imerese, in Via Garibaldi 4, si premieranno i vincitori.
Il
concorso, organizzato dall’associazione culturale Termini d’Arte, ha il
patrocinio del Parco Archeologico di Himera e del Comune di Termini Imerese ed
è giunto alla terza edizione con un ottimo risultato di partecipanti da
tutta la Nazione.
La
Commissione Giuria delle due sezioni poetiche, presieduta dal letterato prof.
Tommaso Romano e composta da: Carmen Cera, docente di materie letterarie,
Marianna Piazza, Assessore alla Cultura e Vicesindaco del Comune di
Trabia, Saverio Orlando, già primario di cardiologia e poeta, Rita Elia,
poetessa e presidente di Termini d’Arte, ha stilato così la classifica dei
vincitori:
1° classificato: Maria Antonietta Sansalone di Trappeto (Pa)
2° Classificato: Angela Riviera di Calascibetta (En)
3° Classificato: Nicola Giambalvo di Santa Margherita Belice (Ag)
Premio Giuria: Vito Sorrenti di Sesto San Giovanni (Mi)
Segnalazioni di merito a : Mauro Drago di San Mauro Castelverde
(Pa), Pietro Vizzini di Capaci (Pa) e Antonio Damiano di Latina (Roma).
Sezione B- Lingua Siciliana e vernacoli d’Italia
1° Classificato: Antonino Pedone di Castellammare del Golfo (Tp)
2° Classificato. Vincenzo Aiello di Bagheria (Pa)
3° Classificato: Euranio La Spisa di Palermo
Premio Giuria: Alberto Lo Verde di Palermo
Segnalazioni di merito a: Tania Fonte ed Emilia Merenda di Palermo e
a Francesco Ferrante di Terrasini (Pa).
La Giuria della Sezione C- sezione speciale dedicata al sito archeologico,
presieduta dalla Dott.ssa Agata Villa, Dirigente del Parco Archeologico di
Himera e composta da Oscar Belvedere, docente universitario e dal maestro
Vincenzo Gennaro, artista e cultore di Himera, ha così decretato:
1° Classificato: Roberto Tedesco di Termini Imerese con il
testo “ Storie antiche di Stesicoro e Stenio” Ed. Arianna.
Premio Giuria: Mariano Graziano di Venezia con il racconto breve
“Gita ad Himera”.
Non assegnati il 2° e il 3° Premio.
Durante
la serata verrà conferito il Premio alla Cultura Città di Himera 2015
a S.E. Gianfranco Romagnoli, Prefetto della Repubblica, a cui verrà consegnata
un’opera del maestro Pippo Madè . Saranno inoltre insignite con Targa
all’Eccellenza: Daniela Cecchini, poetessa e giornalista
romana e Adalpina Fabra Bignardelli , scrittrice e poetessa
palermitana.
Interviste agli ultimi veterani della seconda guerra mondiale
Si
comunica l’uscita del libro“Interviste
agli ultimi veterani della seconda guerra mondiale”, una collezione di 64 interviste senza tagli ai
protagonisti in uniforme di quegli eventi ormai lontani nel tempo ma che ancor
oggi ci emozionano. Durante un lungo lavoro di ricerca,Matteo Cornelius Sullivan ha intervistato veterani principalmente
italiani ma anche australiani, inglesi, un russo e un tedesco, tentando dove
possibile, di porre le stesse domande di base, così da poter paragonare le
diverse esperienze e creare dati statistici per ricercatori e storici.
“Interviste agli ultimi veterani della seconda guerra mondiale” è un librodi
facile lettura fatto di storie individuali che offre molte testimonianze inedite sui tragici momenti dell’8 settembre
1943, sull’entrata degli Alleati a Milano e poi ancora: dettagli inediti sulla
cattura dei gerarchi fascisti della colonna Mussolini, i rapporti tra americani
e australiani e tanto altro.
Autore:Matteo Cornelius Sullivan
Titolo:
Interviste agli ultimi veterani della
seconda guerra mondiale
Casa
editrice: Youcanprint
il Latino, Perchè?
di Alfonso Giordano
Viviamo in tempi in
cui la generale insoddisfazione si manifesta brutalmente attraverso un’ansia
spasmodica di correggere, di mettere in forse,di modificare, perfino di dissacrare, quello che i nostri antenati
hanno ritenuto sacro e inviolabile. In parte, certamente, codesta ansia affannosa
di cambiamento può ritenersi giustificata, in quanto le passate esperienze ci
hanno insegnato che certe esagerazioni sono state, purtroppo, produttive di
negative esperienze e che i canoni un tempo indiscussi mostrano,alla luce di
opportune rimeditazioni, più d’una crepa; e svelano, a ben guardare, squarci
indubbi di fallacia e di errori addirittura palesi. Ma tutto ciò ci autorizza a
questa indiscriminata levata di scudi, a questo insorgere sdegnoso nei
confronti di un passato antico o recente che pure era stato acquisito non senza
il crisma d’un dibattito serrato e insistito, che si era snodato attraverso
diversi secoli? Questa è la domanda che ci dobbiamo porre di fronte ad un
anfanare convulso e sempre più diffuso verso la mèta di contraddire in tanta
parte ciò che i nostri avi hanno ritenuto per certo.
Si tratta forse di un’abitudine
tutta italiana di disprezzare il passato per cercare di coonestare il presente?
La risposta positiva potrebbe forse desumersi
da un gustoso paragone dovuto alla penna di Giuseppe Giusti. Egli, con
quell’arguzia tutta toscana che è facile cogliere quasi in ogni suo scritto, facendo
riferimento al secolo in cui viveva, nuovo rispetto al precedente, e
richiamando le critiche a quest’ultimo, ricorse all’immagine di un nano che era
riuscito a salire sulle spalle di un gigante e da lì spropositava: «Hoibò, come
sei piccino!»
Innumerevoli sono i campi nei quali questo
meccanismo isterico di reazione si manifesta: accennando a questioni
drammaticamente in atto basti pensare al tentativo di innovare sul fondamento stesso
del vincolo familiare allargando il concetto di matrimonio, quale certamente fu
recepito dai costituenti nella Carta costituzionale, perché desunto dal lessico
comune. Ma ritengo che un ricorrente e rilevante esempio, di origine probabilmente
complessa, è rinvenibile nel ripetuto, virulento attacco contro lo studio del
latino. Sia esso il frutto di un’antipatia nata da un’incompatibilità maturata
sui banchi di scuola, oppure da una valutazione squisitamente pragmatica del
concetto di cultura, assistiamo sgomenti al ricorrente conato di esautorazione
dell’utilità di codesta lingua morta, giustificata osservando che la sua eliminazione
permetterebbe l’approfondimento dei corsi di studio delle matematiche, delle
scienze e delle lingue straniere. E’ noto che qualche tempo fa il padre di uno
studente, il quale ultimo dichiarava di apprezzare in sommo grado lo studio del
latino, ha scritto a Repubblica una
lettera con la quale esprimeva la sua antitetica opinione rispetto al giudizio
del figlio, giudicando il latino solo una lingua morta e disutile in un momento
storico in cui lo studio di esso comportava la rinuncia a potenziare quello di
altre branche del sapere, più utili – secondo il suo parere – nei tempi
moderni. Naturalmente, quella lettera diede la stura a un dibattito in cui
opposte schiere di contendenti, talvolta con dovizia di argomenti e
osservazioni da entrambe le parti certamente degni di considerazione, hanno
manifestato in favore o contro lo studio obbligatorio della lingua latina. Ed è
singolare che a favore di quest’ultimo si siano pronunciate persone di alta
cultura che apparterrebbero allo schieramento idealmente opposto, perché
esponenti della scienza, come, ad esempio, lo scienziato Luca Cavalli Sforza.
Quest’ultimo, nell’intervenire in difesa dello studio della lingua latina nel lontano
1933 (durante un primo tentativo di abolizione di tale studio, andato
fortunatamente a male ) non nascose la sua iniziale antipatia verso la lingua
degli antichi Romani provata ai tempi in cui anch’egli frequentava le scuole,
ma dichiarò d’essersene pentito «perché convinto che, se aveva a suo tempo
imparato a ragionare e a risolvere problemi difficili nel corso del ginnasio e
del liceo, fu grazie all’esperienza
di traduzione dal latino». Ma ancor più deciso e perentorio è stato
l’intervento di un altro esponente della c.d. «altra cultura», il prof. Giorgio Israel, ordinario di Storia della
matematica presso l’Università «La Sapienza» di Roma che nel suo blog ha scagliato sull’argomento un
monito inequivocabile che non lascia alternative: «Se muore il liceo classico, muore il paese»! Affermazione che a
prima vista può sembrare frutto di esagerazione, ma in realtà scava nel
profondo della questione di cui ci stiamo occupando, indirizzandoci verso le
radici della nostra cultura, che costituiscono la nostra essenza di vita e di
civiltà. Dobbiamo, peraltro, riconoscere che da un
sommario bilancio dei pareri sul tema, mentre l’opinione negativa è supportata
dal monotono ritornello dell’inutilità, quella positiva è ricca di ragioni e
osservazioni che a me, francamente, sembrano tutt’altro che destituite di fondamento e meritevoli, in
ogni caso, d’una opportuna e approfondita meditazione. Come non ritenere
calzanti i richiami al latino come «lingua madre» da cui derivò il nostro
idioma che uno scrittore, purtroppo ormai quasi dimenticato, designò come gentile (e ciò non senza ragione,
giacché la sostituzione delle o e
delle e alle corrispondenti u e i
della lingua di Virgilio e Orazio, ne addolcì e ne rese più sonoro l’accento,
conservandone, peraltro nella lingua toscana, l’umbratile eco, con la diversa
intonazione assunta dalle due vocali in corrispondenza del modello epònimo). E
tale argomento porta seco inevitabilmente quello del rispetto di una tradizione millenaria che non
ha riguardato soltanto l’Italia, ma buona parte dell’Europa e che nei nostri
confronti non può non esser ancóra rispettata da chi è consapevole della superba
realtà rappresentata nel mondo dalla civiltà romana di cui la lingua fu
esemplare espressione. Civiltà, la cui
grandezza non può essere offuscata dal ricordo di passate esagerazioni
retoriche di un non lontano passato; ché anzi, proprio la scimmiottatura di
cattivo gusto ( il c.d. Kitsch) è
circostanza che fa risaltare la nobiltà dell’originale.
Questo il significato profondo, a mio
modesto avviso, della frase del prof. Giorgio Israel da cui abbiamo preso le
mosse.
2.- Del resto, come non tener
conto del fatto che Il latino – con un fenomeno di certo sorprendente – fu lingua
ancóra usata in Europa fino al secolo dei
lumi ed è stata fino a poco tempo fa il mezzo di espressione ufficiale della
Chiesa cattolica? E’ palese che ciò poté accadere solo per le
caratteristiche intrinseche dell’idioma. Sono state certamente queste che ne hanno
favorito e determinato la sua non comune attiva longevità. Ritengo che esse possano
condensarsi in poche battute: la sua incisività, la lapidaria concisione, l’armonica
sonorità dei fonemi. Ecco perché tante frasi, tanti modi dire di carattere
proverbiale, gnomico e moralistico, son diventati patrimonio comune dei ben parlanti di ogni nazione.
Non è negabile che uomini d’ogni razza e cultura sono stati e sono orgogliosi
di arricchire la propria prosa col richiamo ad aforismi latini i quali condensano
in poche, scultoree frasi, concetti che, per esprimerli altrimenti,
occorrerebbe ricorrere a prolisse perifrasi. E limitandoci, poi, ai soli termini
giuridici ricordo che mio padre, anch’egli magistrato pervenuto ai vertici
della nostra carriera, durante il periodo dei miei studi di giurisprudenza, mi
raccomandava di studiare sul Gianturco (volumetto delle Istituzioni di diritto
privato, antesignano del Torrente, manuale anch’esso di grande chiarezza)
perché sintetizzava le regole relative allo studio del negozio giuridico,
ricorrendo a massime latine compendiose e illuminanti che facilitavano la
comprensione e il ricordo del testo. Ma è di certo un comune sentire quello di
provare nei confronti del latino un senso di reverenza e di rispetto per chi ancóra faccia ricorso ad esso
nell’esprimersi anche nella vita quotidiana. Ricordo un giorno che, essendomi
recato all’aeroporto insieme con mio figlio per informarci su una valigia che
non era pervenuta contemporaneamente al viaggiatore, partecipai ad una
discussione col personale nella quale intervenne un signore che prese spunto da
una frase latina adoprata dal mio figliolo (modus
procedendi) per esprimere il proprio apprezzamento sull’eleganza verbale
con la quale quest’ultimo aveva affrontato la contestazione nei confronti delle
informazioni fornite dalla Compagnia aerea. Ripeté con compiacimento la frase
latina e soggiunse: – Anche a me piace di tanto in tanto parlare forbito.
Era dunque bastato l’uso di una locuzione – peraltro assai nota – per
conferire a un discorso di una normale quotidianità il crisma dell’impronta
culturale. Sicché, tra le diverse reazioni che il ricorso alla lingua in
discorso può provocare, v’è anche quella prima descritta. Mentre di solito si
accenna all’altra, antitetica, di intolleranza, di vera e propria antipatia verso
di essa. Su codesta poggiano – com’è ben noto –
buona parte degli ostracismi di
cui abbiam parlato. Tale sentimento di ostilità risulterebbe ampiamente documentato da un sondaggio
pubblicato sul Corriere della sera da Gabriella Jacomella nel quotidiano del 13
maggio 2009, secondo il quale la maggior parte dei giovani preferisce l’inglese
e l’informatica alla letteratura e alle lingue classiche. Ma vivaddio, come può stupire un siffatto
risultato quando da tutti i media, in tutti
i ritrovi, in buona parte delle manifestazioni artistiche, politiche e sociali,
nelle più disparate indicazioni, perfino dall’intitolazione di un ministero
spuntano termini anglosassoni, frasi inglesi volte a designare situazioni
perfettamente e perspicuamente rese dalla nostra lingua parlata? Eppure si
preferisce ricorrere alla lingua d’Albione, con espressioni talvolta ricercate
che non sempre sono di comune comprensione. Una pioggia continua di anglicismi
infesta la nostra vita quotidiana, la nostra penisola, e non esiste un ombrello
capace di poterci riparare. La verità è
che il servilismo linguistico è stato in ogni tempo di moda in Italia come ebbi
a scrivere in una nota di un mio lontano articolo giuridico. L’Italiano soffre,
purtroppo, di un complesso d’inferiorità e crede di potersene liberare
ricorrendo a terminologie straniere.
3.- In realtà ritengo che l’indicato
sentimento d’avversione sia da attribuire storicamente all’uso della lingua di Giulio Cesare da parte
delle classi più colte o che tali volevano sembrare. Esso nasce dalla
diffidenza che ispira chi parla in modo poco comprensibile ai più. Sicché, se
può comprendersi la ribellione di Renzo nei confronti del latinorum di Don Abbondio, stante l’uso di quella lingua mal celava
l’evidente tentativo di giustificare una sopraffazione e un’ingiustizia, non è
men giustificabile quella nei confronti degli antichi medici che nascondevano
la loro ignoranza sotto il velame di frasi latine, connesse o no, all’oggetto
del discorso avviato in sede di controllo sanitario. A questo tipo, peraltro,
appartiene l’antipatia che trova la sua genesi nella difficoltà di studiare,
comprendere e amare la lingua di Cicerone. E sono convinto che tale sentimento
costituisca la molla più pressante per la maggior parte di coloro i quali perseguono
lo scopo di pervenire all’abolizione dello studio del latino, anche se si preferisce
giustificarla motivando sulla necessità di venire incontro al desiderio della
maggioranza dei discenti dei licei tanto classici quanto, soprattutto,
scientifici.
E’ il vessillo sbandierato dagli abolizionisti che tutti agitano con
sicumera l’asserta volontà degli studenti di non voler studiare il latino. E’
chiaro che qualcosa di vero sussista in tale affermazione se risultano conformi
a verità i sondaggi sopra richiamati. Ma
allora dovremmo lasciare agli scolari la
piena facoltà di gestire i programmi scolastici? E la tanto osannata matematica
dai fautori della eliminazione della lingua latina, piacerebbe forse a tutti
gli studenti, o una buona parte di essi ne preferirebbe se non l’abolizione, un’attenuazione piuttosto che
un’amplificazione didattica?
4.- E qui il discorso si fa, a mio modo di vedere, molto serio
nonostante che la formulazione della richiamata osservazione si presterebbe
anche a qualche facezia. La nostra epoca, a differenza della precedente, ha
portato con sé anche un generalizzato buonismo che nella misura in cui era destinato
a riparare l’eccessivo rigorismo antecedente è meritevole sotto questo profilo
d’esser salutato con favore; ma, come tutte le reazioni ha la tendenza a
strafare e a provocare più danni di quelli causati dalla precedente. Va,
invece, considerato che quando si tratta
della programmazione di studi destinati ad educare la nostra gioventù allo
scopo di assicurarci in avvenire un salutare ricambio della classe dirigente, la
scuola deve rispondere a queste esigenze nel modo che è da ritenere il più
formativo e il suo cómpito è palesemente molto importante. Ed è indubitabile che una
buona preparazione dei singoli è la condizione
imprescindibile per conseguire un risultato di eccellenza. Ma la preparazione
si ottiene con lo studio; e lo studio è sacrificio diuturno, è compressione e
superamento di ogni stimolo contrario; è obbedienza ad un imperativo categorico
che scaturisca da un giudizio proveniente da un piano superiore esterno, accettato,
non supinamente, ma attraverso una sublimazione interiore, un travaglio interno
di convinzione profonda, che ne riconosca l’utilità sociale, morale e
culturale. Ricordiamoci del Volli, fortissimamente volli di Vittorio
Alfieri. Ora si è detto, senza téma di smentita, che il latino è lingua dall’impostazione
assolutamente logica che procede attraverso una sorta di scandaglio grammaticale
nell’analisi del periodo: soggetto,predicato verbale, complemento oggetto,
complementi vari che sono resi evidenti dalle diverse desinenze.
In definitiva, un formidabile esempio d’ordine, di chiarezza,
di precisione, di ragionata organizzazione. Tutto ciò abitua a pensare, a ragionare, a
superare gli agguati intellettuali frapposti dalle nostre incertezze
concettuali. E, in fondo, anche produce una certa soddisfazione una volta che
si riesca a superare l’ostacolo.
Insomma –mette conto di ribadirlo– lo studio del latino è sotto diversi
aspetti formativo. E più esso appare ostico a chi l’imprenda, giacché la grammatica,
la sintassi costituiscono certamente ostacoli non facili per nessuno, più
l’arricchimento culturale si manifesta come benefica conseguenza nei confronti
di coloro che hanno avuto la sagacia e la tenacia di superarli con successo. Io
credo che se vogliamo superare la crisi che attanaglia la nostra società, nella
sua dirompente e complessa articolazione, dovremmo riflettere convenientemente
sulla via da seguire e riconoscere che certe aperture devono esser
obiettivamente riviste.
5.- Ma c’è un’ultima notazione che a me preme tanto, perché fa parte del
mio modo di pensare e di intendere la nostra esistenza di esseri pensanti e
ragionanti: è quella che concerne la bellezza della lingua latina. Una bellezza che nasce dall’armonia delle sue
frasi, dalla sonorità dei vocaboli, dalla mirabile struttura dei periodi. Una
bellezza di cui noi, destinati a vivere in un secolo schiavo delle macchine, in
cui il brutto ci sovrasta e ci opprime in quasi ogni attività, abbiamo
necessità per respirare aria più pura e per crederci creature degne della
nostra tradizione di uomini creati dal soffio divino sul fango originario. Sarebbe un errore funesto e, probabilmente
irreparabile, eliminare o tutt’al più spezzare,
un’impostazione culturale che ci fu lasciata in eredità dai nostri padri
i quali – è bene ricordarlo - avevano
ben la testa sulle spalle, come vorremmo tanto che avessero gli uomini di oggi.
Presentazione del libro ‘L’Olocausto armeno’ (quarta edizione ampliata e illustrata) di Alberto Rosselli.
La presentazione del testo di Alberto Rosselli avverrà a Parma, il giorno 2 ottobre , alle ore 16.30, presso l’Oratorio Novo, Vicolo S. Maria ,5, grazie all'iniziativa del Circolo Culturale 'Carlo Cattaneo' di Parma e nell’ambito del programma della manifestazione culturale “Il lungo cammino delle libertà” di "Festa Internazionale della Storia Parma 2015".
Per info sul testo visionare o contattare: www.mattioli1885.com
Per info sul testo visionare o contattare: www.mattioli1885.com
lunedì 14 settembre 2015
L’Ingnere-Architetto Giuseppe Di Giovanni: l’uomo e l’opera
di Vittorio Riera
Figura non secondaria
del Liberty palermitano, Giuseppe Di Giovanni, Pinè, in ambito familiare (V. Fig. 1,) nasce a Palermo il 5 luglio 1876
da Paolo e da Maria Concetta Castiglia, sorella del futuro capo dell’Ufficio
tecnico del Comune di Palermo, Luigi. Si forma all’interno di una famiglia dove
l’arte era, come si suole dire, di casa. Il nonno, Giuseppe, poliedrica figura
di artista – fu incisore, illustratore di libri, pittore di pale d’altare,
ritrattista – operò a Palermo e in Sicilia tra il 1814, anno della sua nascita,
e il 1898, anno della sua morte; un prozio, Salvatore (1824-1859), fratello del
nonno, morto prematuramente a 35 anni, fu a detta del nipote Salvatore, valente
incisore; il padre Paolo (1876-1912), anche lui pittore, firmò, fra l’altro,
numerose tavole di quella monumentale e fine opera che è il Duomo di Monreale di Benedetto Gravina
pubblicata tra il 1859 e il 1870; pittore fu lo zio, Salvatore junior
(1848-1901), autore di testi scolastici, di saggi pedagogici oltre che docente
all’Accademia di Belle Arti; e pittore fu, infine, Luigi (1856-1938), il più
noto della ‘dinastia’, il più studiato (la mostra organizzata da Tommaso Romano
presso Ellearte di Palermo registrava saggi di Ivana Bruno, Aldo Gerbino, Salvo
Ferlito, Piero Longo, Gioacchino Barbera). Questa l’atmosfera che il futuro
ingegnere e architetto respira. Ci si sarebbe atteso che egli prendesse
tavolozze e colori (e in altro momento vedremo che la tentazione fu forte), e
invece no, ai colori e ai pennelli preferì impugnare squadre compassi e matite
per dare sfogo al suo bisogno di creatività.
giovedì 10 settembre 2015
Spiritualita’ & Letteratura tutti i numeri in rete e l’elenco dei Collaboratori dal 1986 al 2015
Spiritualita’ & Letteratura la rivista fondata nel 1986 da Giulio Palumbo, Pietro Mirabile e Tommaso Romano, e ora da questo diretta come collana-aperiodica dalla Fondazione Thule Cultura – www.edizionithule.it – e in rete fino al numero 85. È un importante risultato documentario che offriamo ai lettori e che si deve alla abnegazione della Ns. redazione con un grazie particolare a Giovanni Azzaretto e che mostra l’importanza di questa impresa culturale. Il blog dove leggere tutti i numeri è www.spiritualitaeletteratura.blogspot.it Sullo stesso sito verranno inseriti periodicamente i nuovi numeri della Collana di Spiritualità & Letteratura, con i numeri monografici e i tradizionali fascicoli con testi e poesie, che verranno stampati per chi ne farà richiesta a fondazionethulecultura@gmail.com
Spiritualita’ & Letteratura ha pubblicato testi di : Rosa Giovanna Abbenante, Nino Agnello, Gonzalo Alvarez Garcia, Vanessa Ambrosecchio, Franca Alaimo, Concetta Alesi, Nicola Amabile, Giovanni Amodio, Mario Ancona, Brandisio Andolfi, Elio Andriuoli, Sandro Angelucci, Lina Angioletti, J.K. Annand, Maria Adele Anselmo, Giuseppe Anziano, Ignazio Apolloni, Anna Maria Arace D’Amaro, Gianna Ardizzone, Gaetano Arnò, Francesco Aronadio, Marcella Artusio Raspo, Riccardo Ascoli, Giacinto Auriti, Fernando Bàez, Luca Balducci, Umberto Balistreri, Giuseppe Bagnasco, Ferdinando Banchini, Giorgio Barberi Squarotti, Anna Barbieri Repetti, Rosa Barbieri, Nino Barraco, Renzo Barsacchi, Divo Barsotti, Maria Gloria Bellatti, Silvio Bellezza, Luis Benitez, Rosa Berti Sabbietti, Mariella Bettarini, Maurizio Massimo Bianco, Alberta Bigagli, David Black, Francesco Bonanni di Ocre, Andrea Bonanno, Giovanni Bonanno, Enrica Bonazzi Canepa, Vincenzo Bondì, Anna Maria Bonfiglio, Neuro Bonifazi, Enrico Bonino, Virginia Bonura, Enzo Bonventre, Giuseppe Borghi, Ferruccio Brugnaro, Giuseppe Antonio Brunelli, Pierfranco Bruni, Domenico Bruno, Francesco Bruno, Gesualdo Bufalino, Salvatore Burrafato, Franco Calabrese, Salvatore Calleri, Franca Calzavacca, Francesco Camerini, Duccia Camiciotti, Marcello Camilucci, Angela Campagna, Franco Campegiani, Francesco Maria Cannella, Mariolina Cannila, Giovanni Cappuzzo, Tychon Capri, Domenico Cara, Pino Caracausi, Marina Caracciolo, Antonio Carano, Franco Cardini, Aldo Carpineti, Giuseppe Carruba, Pio Carruba, Salvatore Carta, Mariella Caruso, Gian Cristoforo Casa, Roland Catalano, Maria Clara Cataldi, Maria Giovanna Cataudella, Enzo Cavaricci, Guido Cecchi, Elena Celso Chetoni, Rossella Cerniglia, Emeterio Cerro, El-Mehdi Chaibeddera, Walter Chiappelli, Giovanni Chiellino, Francesco Civiletti, Pietro Civitareale, Dimas Coello, Pascol Colletti, Adalberto Coltelluccio, Enzo Concordi, Felice Conti, Antonio Coppola, Carmelo Maria Cortese, Vittoria Corti, Massimo Costa, Sarino Armando Costa, Lucia Gloria Costanza, Paul Courget, Crisafulli Vincenzo, Giovanni Cristini, Chantal Cros, Maurizio Cucchi, Orazio Cusumano, Sabino D’Acunto, Giovanni D’Aloe, Eusebio Dalì, Fabio Dainotti, Silvia Dai Prà, Gabriele De Giorgi, Irene De Laude Curto, Amalia De Luca, Liana De Luca, Antonio De Marco, Domenico Defelice, Silvano Demarchi, Maria Pia De Martino, Mario Dentone, Antonino De Rosalia, Gigi Dessi, Rosaria Di Donato, Enrica Di Giorgi Lombardo, Elisabetta Di Iaconi, Maria Di Lorenzo, Salvatore Di Marco, Lino Di Stefano, Ninnj Di Stefano Busà, Giovanni Dino, Giuseppe Dino, Arturo Donati, Placido D’Orto, Desmond Egan, Rita Elia, Vittoriano Esposito, Adalpina Fabra Bignardelli, Patrizia Fanelli, Teresa Fardella, Sara Favarò, Cristina Fei, Ada Felugo, David Fernandez, Piero Ferrari, Giampiero Finocchiaro, Elio Fiore, Fernando Fabio Fiorese Furtrado, Carla Fiorino, Maria Teresa Folliero, Silvana Folliero, Bruno Forte, Giovanna Fozzer, Raffaele Francesca, Melo Freni, Andrew Frisardi, Carmelo Fucarino, Robin Fulton, Giuseppe Fumia, Giovanni Battista Gandolfo, Agostino Gandolfi, Maria Antonina Console Ganguzza, Elmys Garcia Rodriguez, Eraldo Garello, Rosario Mario Gazzelli, Brunero Gennai, Aldo Gerbino, “Getsemani” Gruppo – Palermo, Ubaldo Giacomucci, Rino Giacone, Pino Giacopelli, Renata Gianbene, Daniele Giancane, Anna Maria Giancarli, Francesco Paolo Giannilivigni, Franca Giannola, Antonino Giardina, Giuseppe Giardina, Giovanni Gigliozzi, Gianni Giorgianni, Fabio Girardello, Graziano Giudetti, Elio Giunta, Filippo Giunta, Francesco Alberto Giunta, Duncan Glen, Giuseppe Gorlani, Rodolfo Gordini, Francesco Grisi, Sandro Gros Pietro, Francesca Guajana, Pino Guarino, Emilio Guaschino, Margherita Guidacci, Pasquale Hamel, Lance Henson, Federico Hòefer, Gianni Ianuale, Anna Maria Ingria, Ennio Innocenti, Alfio Inserra, Gianfranco Jacobellis, Ernst Jùnger, Mitsuko Kawai, Richard Kell, Mariolina La Monica, Felice Lammardo, Franco Lanza, Liliano Lanzi, Serena Lao, Saverio La Paglia, Giuseppe La Russa, Giacinta Latino, Carmelo Lauretta, Maria Grazia Lenisa, Flavia Lepre, Salvatore Li Bassi, Enzo Li Mandri, Licia Liotta, Alejandrina Ketty Lis, Maria Teresa Liuzzo, Lidia Esther Lobaiza de Rivera, Stefano Lo Cicero, Franco Loi, Rosario Lo Verne, Galileo Lombardi, Piero Longo, Lemus Virgilio Lòpez, Sandra Lucarelli, Luciano Luisi, Giuseppina Luongo Bartolini, Daniele Lupo, Francesca Luzzio, Giuseppe Macchiarella, Alessio Maestri, Pasquale Maffeo, Dante Maffia, Leo Magnino, Valerio Magrelli, Luigi Maniscalco Basile, Carmine Manzi, Gian Ruggero Manzoni, Riccardo Marchi, Giovanna Markus, Biagia Marniti, Antonio Martorana, Grazia Marzulli, Rosalba Masone Beltrame, Michele Massiglia, Antonio Mastropaolo, Giovanni Matta, Vito Mauro, Siro Mazza, Renzo Mazzone, Miguel Oscar Menassa, Assunta Maria Menchinelli, Vittorio Messeri, Carmelo Mezzasalma, Guido Miano, Michele Miano, Maria Elena Mignosi Picone, Elena Milesi, Pietro Mirabile, Ester Monachino, Adriana Mondo, Vincenzo Monforte, Antonella Montalbano, Valeria Montaruli, Giovanni Monti, Pierino Montini, Franco Morandi, Massimo Morasso, Tommaso Moro, Nino Muccioli, Emanuele Muscolino, Maria Musotto, Renato Nale, Elisabetta Nascè, Maria Pina Natale, Walter Nesti, Adriana Notte, Pippo Oddo, Giancarlo Oli, Rossano Onano, Salvatore Orilia, Elisa Orsez Grillone, Padre Pio da Pietrelcina, Giuseppe Pace, Guido Pagliarino, Egle Palazzolo, Giulio Palumbo, Virginia Palumbo, Gaetano Pampallona, Roberto Panasini, Rina Pandolfo, Silvano Panunzio, Ernesto Papandrea, Salvatore Pappalardo, Gilberto Paraschiva, Pierre Pascal, Giuseppe Passamonte, Gisella Pasarelli, Domenico Passantino, Roberto Pazzi, Mike Peirano, Rosalba Pelle, Peppino Pellegrino, Guglielmo Peralta, Teresinka Pereira, Leicecy Pereira Darneles, Adriano Peritore, Raffaele Perrotta, Claudio Pestarino, Giuseppe Petralia, Luigi Picchi, Rosaria Picone, Renato Pigliacampo, Antonio, Piromalli, Carmelo Pirrera, Maria Antonietta Pirrotta, Juna Rosa Pita, Benito Juan Luis Pla, Giorgio Poli, Adrian Popescu, Hugh Probyn, Davide Puccini, Sergio Quinzio, Lionello Rabatti, Paolo Ragni, Aurora Ranieri, Antonino Rapisarda, Anna Repetti Barbieri, Aurelio Repetti, Gianni Rescigno, Rolando Revagliatti, Renzo Ricchi, Lina Riccobene, Rosaria Ines Riccobene, Franca Righi, Rolando Rivagliati, Elisa Roccazzella, Italo Rocco, Tilde Rocco, Elmys Rodriguez Garcia, Gianfranco Romagnoli, Giovanni Romano, Maria Caterina Romano, Nicola Romano, Tommaso Romano, Gabriele Romeo, Massimiliano Rosito, Christina Rossetti, Salvatore Rossi, Vincenzo Rossi, Giuseppe Rovella, Paolo Ruffilli, Peter Russell, Antonino Russo, Vincenzo Russo, Anna Maria Saccà, Giovanni Sacco, Pietro Sacco, Itala Sacco Giglio, Sebastiano Saglimbeni, Antonino Sala, Marcello Salemi, Giovanni Salerno, Gaetano Salveti, Ida Salvo, Lara Sanjakdar, Giorgio Santangelo, Mario Santoro, Benito Sarda, Michele Sarrica, Marco Scalabrino, Giacinto Arturo Scaltriti, Adriana Scarpa, Veniero Scarselli, Emanuele Schembari, Luis Schnitann, Giuseppe Maria Sciacca, Giovanna Sciacchitano, Elvira Sciurba, Lorenzo Sena, Emilio Servadio, Giovanni Sevans, Curro Sevilla, Silvestro Silvestri, Piera Simeoni Scialanca, Mario Sciortino, Fininzia Scivittaro, Biagio Scrimizzi, Marcello Scurria, Francesca Simonetti, Susanna Soiffer, Antonio Spagnuolo, Santino Spartà, Ciro Spataro, Maria Luisa Spaziani, William Stafford, Arina Takashi, Luigi Tallarico, Orazio Tanelli, Emilio Paolo Taormina, Liliana Tedeschi, Massimiliano Testa, Selim Tietto, Francis Tiso, Teresa Titomalnlio, Patrizia Tocci, Francesco Saverio Tolone, Pino Tona, Gianluca Torti, Pino Tosca, Elide Triolo, Gilda Trisolini, Tryggve Edmond, Luca Tumminello, Domenico Turco, Fabio Tutrone, Mario Varesi, Alberto Varvaro, Turi Vasile, Piero Vassallo, Francesca Vella, Anna Ventura, Giusi Verbaro, Raymond Vettese, Vittorio Vettori, Pio Vigo, Stefano Vilardo, Gloria Weber, Simon Weil, Peter Paul Wiplinger, Carlos Chacòn Zaldivar, Lucio Zaniboni, Jose Alain Zegarra, Lucio Zinna, C. G. Zonghi Spontini, Carlos Arànguiz Zùniga.
mercoledì 9 settembre 2015
San Giuseppe Cottolengo e Italo Calvino
di Francesco Agnoli
Giuseppe Cottolengo è un semplice sacerdote che nella Torino dell’Ottocento assiste impotente alla morte di una donna gravida. Questo incontro, di cui è costretto ad essere testimone, è per lui un richiamo, che cambia l’esistenza.
In quindici anni crea un’opera immensa: prima un paio di camerette, in cui assiste più di duecento malati, poi un asilo infantile, poi la famiglia dei sordomuti, quella degli adolescenti caratteriali, quella degli orfani, degli invalidi, degli handicappati, degli epilettici, di coloro che negli altri ospedali vengono rifiutati. Nasce in breve, dalla sue mani sante, una cittadella, la “Piccola casa della divina provvidenza“: un nome paradossale, per un luogo in cui le miserie e le deficienze umane più terribili, si accumulano, e si incontrano con la grandezza dell’amore di altri uomini.
Di fronte a questa realtà, il povero conte Camillo Benso di Cavour, tanto abile politicamente, quanto povero di spirito, si chiede cosa vi sia di sacro nel diritto alla vita di esseri in cui evidentemente non riesce a riconoscere, dietro le apparenze non belle, non attraenti, delle creature di Dio e dei corpi destinati a risorgere gloriosi (Antonio Sicari, Ritratti di santi 1, Jaka Book).
Oltre cent’anni più tardi, la radicale abortista Adele Faccio, scriverà: “Fatemi capire perché bisogna difendere il diritto alla vita di migliaia di esseri deformi, inadatti, incompleti, che riempiranno quel museo degli orrori che è il Cottolengo“. Museo di orrori: è effettivamente la reazione più normale, nell’uomo decaduto, quando non vuole accogliere il dolore dei fratelli, ma solo respingerlo, negarlo, allontanarlo da sé, come uno scandalo, intollerabile per chi vi assiste (visto che chi lo vive, già lo sopporta).
Anche un altro grande personaggio, Italo Calvino, farà il suo incontro con questa realtà. Lo racconta nella “Giornata di uno scrutatore”, il diario, ha scritto Andrea Sciffo sul Timone, “di uno scrutatore del partito comunista che, impegnato ad evitare possibili raggiri elettorali della democrazia cristiana al seggio elettorale nell’istituto Cottolengo di Torino, rimane imbrigliato in una umanità mai vista“. Davanti si trova “ragazzi-pesce”, creature deformi, inimmaginabili. Di fronte a tale mistero la sua mente cerca di catalogare e definire: “fino a che punto un essere può dirsi un essere, di qualsiasi specie?”; “fino a dove un essere umano può dirsi umano?“, si chiede, respingendo immediatamente la possibilità che la realtà sia, semplicemente, quella che si vede. Mentre pensa, ragiona, mentre quasi “vuole fare un discorso sulla società come avrebbe dovuto essere secondo lui”, deve però fare i conti con le suore liete, serene, che dedicano ogni attimo della loro vita, a quell’umano nascosto, che chiede di essere incontrato e amato, e che lui vorrebbe, invece, cancellare tout court, non si sa come. In verità, osservando la letizia delle suore, Amerigo si domanda: “una beatitudine esiste? (e se esiste allora va perseguita?)”.
E conclude con una commovente descrizione, di un ragazzo idiota, che il padre viene sempre a trovare, ogni domenica, solo per vederlo masticare: “Ecco, pensò Amerigo, quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari. E pensò: ecco, questo modo d’essere è l’amore…l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo“.
da: www.libertaepersona.org
lunedì 7 settembre 2015
Charles Peguy e l’innesto dell’Eterno nel temporale
di Francesco Agnoli
Molto amato da don Luigi Giussani, raccontato da Pigi Colognesi in molti suoi libri, Charles Peguy ( 1873-1914) è stato uno scrittore e polemista francese, passato dal socialismo al cattolicesimo.
Ciò che Peguy vuole sottolineare è la “riabilitazione del temporale” come cuore del cristianesimo. Il cristianesimo si fonda sull’ Incarnazione, cioè sulla volontà dell’Eterno di salvare il mondo, il tempo, entrandoci dentro, assumendolo sino in fondo.
Scriveva Peguy che il cuore della fede, della fiducia dei credenti, sta nel “coinvolgimento del temporale nell’eterno e dell’eterno nel temporale”. Perché “tolto il coinvolgimento
non c’è più nulla. Non c’è più un mondo da salvare. Non c’è più alcun cristianesimo. Non c’è più redenzione, né incarnazione e neanche creazione. Ci sono solo cocci senza nome, materiali senza forma, calcinacci e rovine; rovine informi, cumuli e macerie, mucchi e affastellamenti; scompigli, disastri…”.
Se l’Eterno è entrato nel tempo, ogni tempo, ogni istante di tempo, ogni momento apparentemente insignificante di tempo, porta in sè un significato più grande. L’Infinito trasforma, continuamente, il finito, e la miseria umana diventa così, a chi la sa guardare e vivere alla luce dell’eternità, grandezza.
Per capirlo basti pensare alla Veronica: colei che asciugò il volto di Cristo, di Dio, “con un fazzoletto, con un vero fazzoletto, con un fazzoletto per soffiarsi il naso, con un fazzoletto imperituro asciugò quella faccia augusta, la sua vera faccia, la sua faccia reale, la sua faccia di uomo… quella faccia di sudore, tutta in sudore, tutta sporca, tutta polverosa, tutta piena della polvere delle vie; tutta piena della polvere della terra; la polvere della sua faccia, la comune polvere, la polvere di tutti, la polvere della sua faccia; incollata dal sudore“.
Per Peguy vi sono uomini che si illudono di salvare il tempo con il tempo (i socialisti, gli scientisti, tutti quelli che affidano all’uomo, da solo, la salvezza del mondo); ed altri, che magari professano a parole la fede cristiana, i quali non avendola davvero compresa credono di salvarsi dal tempo, rifuggendo lontano, nello spiritualismo, in una fede disincarnata, in un grido di maledizione che rinnega la speranza cristiana.
Questo tempo che viviamo, afferma Peguy, è ammorbato dai “mali del mondo moderno”; mali che lo scrittore esamina senza infinigimenti; eppure anche oggi.
Egli è qui.
E’ qui come il primo giorno.
E’ qui tra di noi come il giorno della sua morte.
In eterno è qui tra di noi proprio come il primo giorno.
In eterno tutti i giorni.
E’ qui tra di noi in tutti i giorni della sua eternità.
E’ la medesima storia, esattamente la stessa, eternamente la stessa che è accaduta in quel tempo e in quel paese e che accade
tutti i giorni in tutti i giorni di ogni eternità.
da: www.libertaepersona.org
domenica 6 settembre 2015
41° Premio Internazionale di Poesia Città di Marineo
Il Premio Marineo è giunto quest’anno alla sua quarantunesima edizione, 41 anni durante i quali,si è guadagnato un notevole prestigio culturale nella vasta cerchia dei concorsi letterari nazionali. Il premio speciale internazionale è stato attribuito a Sebastiano Lo Monaco personalità di primo piano del teatro e del cinema contemporaneo. La carriera di Sebastiano Lo Monaco si è sempre caratterizzata per la costante presenza, al suo fianco, di grandi interpreti e registi che hanno messo in evidenza le peculiari caratteristiche di un attore appassionato e straordinario il quale da un quarantennio si divide tra teatro, TV e cinema. L’artista siciliano recentemente si è distinto per avere portato nel teatro il suo impegno civile con due opere del Presidente del Senato Pietro Grasso, Per non morire di mafia e Dopo il silenzio, dove si evidenzia la guerra non ancora completamente vinta contro la mafia e la criminalità organizzata. Con tale riconoscimento la commissione giudicatrice ha voluto riconoscere le qualità nonché la professionalità di un attore che, dopo aver calcato le scene per un quarantennio, continua a rivelarsi un protagonista nel panorama culturale contemporaneo. Apprezzamento è stato espresso, con una nota indirizzata alla Fondazione, dal Presidente del Senato Pietro Grasso per “l’attività di promozione culturale che la Fondazione Arnone svolge costantemente da tanti anni, in quanto investire sulla cultura è uno dei principali obiettivi che il nostro Paese deve perseguire tanto più in una società dell’informazione e del pluralismo culturale”. Nell’ambito della poesia edita in lingua italiana la giuria, presieduta da Salvatore Di Marco, e composta da Flora Di Legami, Giovanni Perrone, Ida Rampolla, Michela Sacco Messineo, Tommaso Romano, Ciro Spataro, ha attribuito il primo premio a Roberto Deidier per l’opera “Solstizio”, ed. Mondadori, il secondo premio ex aequo a Fabrizio Dall’Aglio per l’opera “Colori e altri colori”ed. Passigli e a Daniela Raimondi per l’opera “ Maria di Nazareth” ed. Puntoacapo, il terzo premio a Luca Nicoletti per l’opera “Comprensione del crepuscolo” ed. Passigli, è risultata finalista Maria Ebe Argenti, per l’opera “Dell’Anima e del cuore”, ed. Blu di Prussia. Nella sezione opere inedite in lingua siciliana il primo premio è stato attribuito a Tania Fonte per la raccolta ”E’ luntana la sira”, sono risultati finalisti i poeti Patrizia Sardisco, con la raccolta “Cristareddu appuiatu nto ventu” ed Eligio Faldini, con la raccolta “Funtana di la me vita”. Nella sezione opere edite in lingua siciliana il primo premio ex aequo è andato a Piero Carbone per l’opera “Lu pueta canta pi tutti”, ed. Legas, New York e ad Alfio Inserra per l’opera “Tragoedia”, ed. Pungitopo, il secondo premio a Alessandro Giuliana per l’opera “Nun è timpu”, ed. Algra e il terzo premio a Filippo Giordano per l’opera “Riepitu”, ed. Youcanprint.
La Commissione ha deciso di assegnare una targa premio a Zef Chiaramonte per l’opera in lingua albanese, tradotta in italiano, “Vule uji – Marca d’acqua”, ed. Nuova Ipsa. La cerimonia di premiazione si svolgerà a Marineo Domenica 6 settembre c.a. a Piazza Castello e sarà condotta da Katiuska Falbo.
L’iniziativa, quest’anno, viene patrocinata dall’Assessorato Regionale del Turismo dello Sport e dello Spettacolo e dal Comune di Marineo.
Il Presidente della Fondazione Gioacchino Arnone (Arch. Guido Fiduccia)
La Commissione ha deciso di assegnare una targa premio a Zef Chiaramonte per l’opera in lingua albanese, tradotta in italiano, “Vule uji – Marca d’acqua”, ed. Nuova Ipsa. La cerimonia di premiazione si svolgerà a Marineo Domenica 6 settembre c.a. a Piazza Castello e sarà condotta da Katiuska Falbo.
L’iniziativa, quest’anno, viene patrocinata dall’Assessorato Regionale del Turismo dello Sport e dello Spettacolo e dal Comune di Marineo.
Il Presidente della Fondazione Gioacchino Arnone (Arch. Guido Fiduccia)
giovedì 3 settembre 2015
Da Berlusconi a Renzi
di Domenico Bonvegna
In un recente intervento Marco Invernizzi, storico del movimento cattolico
in Italia, ha tentato di fare un bilancio sugli ultimi vent’anni della politica
italiana, con particolare riferimento a Silvio Berlusconi. Accostando la
politica del berlusconismo a quella
del renzismo.“Un accostamento che nasce anzitutto dalle comuni
caratteristiche comunicative, entrambi essendo capaci di parlare alla gente non
in politichese, ma di farsi capire, di riuscire simpatici, di suscitare energie
positive”.(Marco
Invernizzi, “Dal berlusconismo al renzismo”, 27.8.15, comunitambrosiana.org)
Per la verità non è solo Invernizzi
a indicare che Berlusconi ha cambiato il
modo di fare politica in Italia, ci sono ormai tanti analisti a sostenerlo,
naturalmente alcuni, forse la maggioranza disprezzano il suo modo di fare
politica, altri, invece, apprezzano quello che ha fatto.
Tra i meriti
tributati da Invernizzi a Berlusconi c’è quello di “avere restituito una centralità alla questione comunista impedendo ai
postcomunisti di andare al governo dopo la caduta del Muro di
Berlino e dopo la fine dell’Unione sovietica, ma mantenendo intatta la
“gioiosa macchina da guerra”
che l’allora segretario del partito Achille Occhetto stava per condurre al
governo nelle elezioni che invece videro il trionfo inaspettato del
centrodestra alleato con la Lega di Umberto Bossi. Questa vittoria elettorale permise lo sdoganamento
di molti temi che nessuno era mai riuscito o aveva voluto che diventassero
centrali almeno dalle elezioni del 18
aprile 1948”. Tra i temi diventati centrali nella
politica italiana si può registrare per Invernizzi, la libertà delle famiglie di educare i figli nelle scuole che
desiderano, lo statalismo che nega il principio di sussidiarietà, una politica
estera non equidistante e ambigua, ma esplicitamente a fianco dell’Occidente,
pur mantenendo una certa autonomia di giudizio e di amicizie, come nel caso di
Putin e la Russia o di Gheddafi e la Libia. Insomma, per Invernizzi, Berlusconi diede corpo a un partito
conservatore di massa che per diverse ragioni storiche (in primis il
fascismo) in Italia non si era mai costituito dopo l’unificazione. Un partito
che ha salvato il Paese da quell’accelerazione dell’attacco alla vita e alla
famiglia realizzatasi dopo il 1989, quando
la lotta di classe e il conflitto ideologico lasciavano il posto alla questione
antropologica, segnata dall’avanzata dell’ideologia gender. E questo
avvenne nonostante la notoria insofferenza di Berlusconi per le questioni
morali e il suo conclamato anarchismo valoriale”.
Di tutto
questo non è rimasto nulla, non solo dei temi antropologici, ma addirittura
anche di quelli classici del berlusconismo, quali la riduzione delle tasse, la
libertà dei corpi sociali dall’invadenza dello Stato. Infatti molti italiani lo
hanno capito e così non gli hanno dato più il loro consenso, rifugiandosi
nell’astensionismo. Ritornando invece al disprezzo dei tanti gazzettieri, tra
questi sicuramente c’è uno storico svizzero che non conoscevo, Aram Mattioli, che ha scritto un libro
abbastanza provocatorio, almeno nel titolo, “Viva Mussolini”. La guerra della memoria nell’Italia di
Berlusconi, Bossi e Fini”, Garzanti (2011). Anche questa volta, conquistato
dalla curiosità, l’ho acquistato nella solita libreria dell’outlet milanese.
L’autore, professore di storia contemporanea all’università di Lucerna, con
insistenza quasi maniacale, vede una forte virata a destra della società italiana, che nel frattempo si è trasformata
culturalmente. Secondo il professore le idee della Destra hanno conquistato uno
spazio considerevole nel dibattito politico. Addirittura“le apologie del fascismo e la venerazione del duce sono arrivate al
cuore della società”. Per lo storico svizzero tutto questo è colpa di
Berlusconi. In occasione dell’uscita del libro, il quotidiano economico ItaliaOggi, ironicamente ha scritto:“Il bello è che non si
limita a dirlo agli svizzeri ma lo fa sapere anche agli italiani che ne sono
ignari”.
Mattioli intravede, a partire dal 1994, una forte offensiva revisionista,
sostenuta dai nostalgici ed estremisti di destra, ma anche da parte di notabili
conservatori, o meglio, liberali come Montanelli e Renzo De Felice.Onestamente
peròdi questa offensiva revisionista berlusconiana sene è vista poca come lo
stesso Invernizzi fa notare. E il cavaliere aveva tanti mezzi per farlo
veramente.
In Italia, insiste
Mattioli, ci sono, “politici di spicco
che elogiano gli aspetti positivi della dittatura di Mussolini, strade che
prendono il nome di ‘eroi’ del Regime, o ’buoni fascisti’ che arrivano nelle
case della nazione televisiva; tutto ciò dal 1994 fa parte della vita
quotidiana della seconda repubblica, così come le proposte di legge con le
quali l’ultimo contingente di Mussolini e i collaborazionisti di salò vengono
messi sullo stesso piano dei combattenti della Resistenza”. Naturalmente lo
storico svizzero scrive queste cose durante l’ultimo governo Berlusconi. Il
testo si divide in tre parti, nella prima spiega, l’erosione della base di consenso antifascista, Mattioli in pratica
analizza come negli anni ottanta iniziò lo sgretolamento del consenso
antifascista per opera di Bettino Craxi, che “pochi giorni dopo aver ricevuto l'incarico” di formare il suo governo, “condannò la ghettizzazione del Msi”, nello stesso periodo
è iniziato il lavoro di revisionismo storico del professore Renzo
De Felice. “Già nel 1975, in
un’ormai celebre intervista sul fascismo, Renzo De Felice, che nel frattempo
grazie alla sua corposa biografia di Mussolini era diventato lo storico
italiano più noto, dichiarò con fare apodittico che le differenze tra la
Germani nazista e l’Italia fascista erano state ‘enormi’ e perciò non aveva
alcun senso paragonare i due regimi”.
Per
Mattioli, lo storico romano, dipingeva la dittatura di Mussolini come regime
autoritario, non particolarmente violento, ma piuttosto paternalista, in ogni
caso non totalitario e quindi non paragonabile alla Germania
nazionalsocialista. Era la prima volta, dalla fine della guerra, che un
professore e uno storico italiano autorevole, che non proveniva da ambienti
neofascisti, riabilitava in parte il fascismo.
Nella
seconda parte del testo, quella più consistente, per quanto riguarda il
revisionismo storico. L’autore che si ritiene di aver studiato a fondo la
storia dell’Italia fascista, analizza i vent’anni di fascismo. Critica quelli
che sostengono che è stata una “dittatura
all’acqua di rose che ha fatto anche del bene”, come Indro Montanelli con
il suo “Buonuomo Mussolini”(1947), è
stato il primo a veicolare un’immagine dolce,
bonaria della dittatura.Ma anche noti storici ed esponenti di sinistra come
Piero Melograni o Carlo Lizzani, sono stati per certi versi indulgenti con il
fascismo. Tra i cosiddetti storici revisionisti non poteva mancare il riferimento
al lavoro di Giampaolo Pansa, che negli ultimi anni si è adoperato per far
conoscere la storia dei vinti. Addirittura Mattioli annovera tra i beceri revisionisti anche “la filosofa
ebrea tedesca”HannahArendt, che in “Le
origini del totalitarismo”, Einaudi 2004, ha scagionato “il fascismo
dall'accusa di totalitarismo, almeno fino all'emanazione delle leggi razziali”.Invece
Mattioli cerca di portare argomenti per criminalizzare il fascismo e il suo
duce. A cominciare da quegli obiettivi imperialistici in Libia e nel Corno d’Africa, dove i legionari di Mussolini
si macchiarono di crimini di guerra, peraltro con l’uso di gas tossici.
Mattioli critica anche lo stereotipo diffuso sui nostri soldati, di “italiani brava gente”, che non sono capaci
di far male a una mosca, proposto dai due film, trasmessi da Raiuno: “Cefalonia”(2005) e “Il mandolino del capitano Corelli”(2001) o quello ambientato in
Africa, “Le rose del deserto”(2002)
di Mario Monicelli.
Mattioli si
sofferma poi sull’architettura fascista, anche qui c’è una spietata critica
dell’uso della pietra come mezzo di
potere e di propaganda. “Quei messaggi di pietradovevano mostrare al
mondo che in Italia era tutto cambiato, e in meglio”, scrive Mattioli. I
temi affrontati sono ancora tanti, potremmo continuare nel prossimo intervento.
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