"Il visionario di piazza Marina"
di Carlo Puleo
«Venga
professore, oggi ci sono novità»: è questa la tipica frase dei venditori di
anticaglie. Era una domenica di fine luglio, dopo una settimana, lo scirocco
afoso, durante la notte si era attenuato lasciando ovunque come un velo di
sabbia sahariana. Intorno alle otto, per Piazza Marina si aggirava poca gente,
i venditori erano intenti a sistemare le loro cianfrusaglie, esponendole in
modo da suscitare la curiosità dei visitatori. In quelle prime ore si
incontrano solitamente solo collezionisti e patiti dell’antico, in cerca del
pezzo agognato. Quella mattina c’erano tutti: dal collezionista di vecchi orologi
a quello di cartoline e immaginette sacre, oltre ai patiti di libri e
manoscritti. Raramente si fermano a discutere, un saluto appena e si tuffano a
rovistare. Dopo aver fatto il giro delle bancarelle, s’intrattengono fra di
loro a commentare gli oggetti acquistati. Quando adocchiano il “pezzo” che
interessa, è loro abitudine non mostrare entusiasmi, fingendo di nulla e
continuando a rovistare, con aria delusa. Sarebbe un grosso errore lasciar
intendere che si è trovato qualcosa di interessante, poiché il venditore ne
profitterebbe per alzare il prezzo. Si finge allora di non aver trovato nulla e
si accenna ad andarsene, dopo di che si torna indietro e si chiede il costo,
con noncuranza. I vecchi venditori, che conoscono bene i clienti abituali e le
loro strategie, stanno al gioco e fingono di non capire.
I
visitatori occasionali e i turisti affluiscono dopo le nove, quando hanno ormai
rovistato tutto gli habitué, a cui i
bancarellari, per accaparrarsi la loro presenza, promettono altre novità per la
prossima settimana, ricavate dagli “sbarazzi” in corso.
Il
professore Minutella si aggirava con aria delusa quando un venditore lo chiamò:
« Professo’ venga, ho una cosa importante per lei». Minutella si accostò alla
bancarella con la solita flemma e diffidenza. L’uomo, con fare circospetto, si
guardò intorno, cavò da una busta un involucro e lo srotolò lentamente. Ne
venne fuori una grossa e grossolana serratura. «Professo’, la guardi bene: è
fatta a mano, ferro battuto, non ci sono saldature, solo perni. È
dell’Ottocento » e intanto cercava di porgergliela. Il professore si scostò, non volle
toccarla, sia per la ruggine che per la polvere, diede una fugace occhiata e
con controllato garbo disse che lui non praticava quel genere di collezioni e
che era interessato invece a quadri, libri e cornici antiche. Ma l’uomo tornò
alla carica: «Professo’, questa serratura è speciale, ha un valore storico,
proviene da Palazzo Lampedusa, la dimora di quello che ha scritto “Il
gattopardo”. Il professore lo guardò in faccia, poi domando: « Tu come fai a
stabilirlo? ». Il venditore, in tono risentito, rispose: « Lei sa che il
palazzo è stato bombardato nell’ultima
guerra. Mio padre, che allora abitava in Via Bara all’Olivella, l’ha trovato in
strada fra le macerie. Doveva essere la serratura di un magazzino o di una
stalla. Mio padre era uno che amava le cose antiche, l’ha tenuta appesa come
una reliquia. Io per bisogno ho deciso di venderla, mi faccia un’offerta. Lei è
uomo di cultura e sa valutarla.»
«Guardi,
signor Alfonso», ribatté il professore, «io sono lontano da questo genere e non
saprei che dirle, vedrà che prima o poi troverà l’amatore, disposto a pagarla
anche bene» e dopo un cenno di saluto fece per andarsene.
Un
cane sporco e spelacchiato si aggirava intorno alla bancarella e andò a
strofinarsi fra le gambe del professore. Questi, intimorito, si scostò pensando
si trattasse del solito randagio affamato. «Professo’, non si spaventi, è il
mio cane, è buono. È da una settimana che non mi lascia un secondo. Mi ha
scelto lui, l’ho chiamato Scillo. Lo guardi bene negli occhi, non trova che ha
lo sguardo umano?». Al diniego del professore, l’altro aggiunse: «Mi creda, ha
lo stesso sguardo di mia madre che, poveretta, è morta dieci giorni fa. Questo
povero animale russa proprio come mia madre.»
Il
professore soggiunse: «Ma davvero? Allora lei crede nell’incarnazione?»
«Adesso
si, credo che lo abbia mandato mia madre per tenermi compagnia». Minutella lo
ascoltava e nel contempo sfogliava una rivista e di tanto in tanto dava uno
sguardo al cane e all’uomo. Questi, accortosi di essere studiato, aggiunse: «
Professò’, lei non crede in queste cose, guardi che io sono un sensitivo. La
vede quella colonna nel giardino? Là vicino venivano giustiziati i condannati
dell’Inquisizione, le confesso che certe giornate sento i loro lamenti e vedo
anche delle ombre che si aggirano. »
« E tu
che fai quando senti questi lamenti?»
« E
che posso fare? Professo’, mi crede o non mi crede?»
«Mah!
È tutto un mistero. Ti capita di sognare queste cose anche la notte?» Alfonso
percepì a cosa volesse alludere il professore e con espressione risentita mosse
la testa in segno di diniego. Si girò e si dedicò a rassettare la mercanzia.
Il professore si spostò nella bancarella
accanto, colma di libri e vecchie riviste e si diede a rovistare, ripetendosi
mentalmente: “Niente, una mattinata persa”. Negli ultimi tempi era diventato
sempre più raro scovare qualcosa di interessante. Proseguì il giro con aria annoiata,
si soffermò a curiosare fra la miriade di stampe e quadretti appesi
nell’inferriata della villa. Si trattava dei soliti dipinti oleografici e
stampe di scarso valore. Notò in una bancarella computer e telefonini di tutte
le fogge, che ormai avevano fatto anch’essi il loro ingresso nel cosiddetto
reparto del modernariato.
Incontrò
un vecchio conoscente, intento ad ammirare una tazza che rigirava fra le mani.
Quando gli chiese incuriosito: « Che te ne fai adesso di un a sola tazza? »,
l’altro, a sua volta, lo guardò stupito e gli rispose: « Che me ne faccio? A
casa ne ho altre cinque, me ne mancava una per completare il servizio, sono
anni che ne vado alla ricerca e non speravo più di trovarne una uguale ».
Giunto accanto al grande ficus proprio di
fronte allo storico Palazzo Steri, osservò una ruota di curiosi che
stazionavano attorno alla bancarella di una coppia di venditori che trattava
cartoline e oggetti di bigiotteria realizzati da quei loro stessi, in quel
momento impegnati in un loro litigio. La donna, dall’immagine felliniana,
vestiva in modo eccentrico e calzava alti trampoloni che le davano movenze
tipiche dei pupi siciliani. Possedeva un frasario originale, infarcito di
neologismi piuttosto colorati, che scagliava con voce sguaiata verso il
compagno, il quale non si mostrava di meno, ostentando un gergo marcatamente palermitano che andava
caricandosi di forza espressiva. Una buona parte degli astanti mostrava di
parteggiare per la donna; quelli che parteggiavamo per l’uomo assumevano invece
un’espressione vagamente divertita. La scintilla del diverbio scoccava al
momento di disporre la mercanzia sulla bancarella, non coincidendo quasi mai i
loro gusti e criteri. Raggiunto infine l’accordo, si poteva notare che parecchi
astanti continuavano a soffermarsi e a rovistare. Perciò Minutella aveva il
sospetto che quei loro frequenti litigi fossero programmati e concordati,
proprio allo scopo di attirare l’attenzione dei visitatori. Quando sembrava che
i due stessero per venire alle mani, c’era sempre qualcuno che interveniva,
prodigandosi a rappacificarli. Il professore non riusciva a determinare se il
paciere fosse un compare o un generoso visitatore.
Il
professore si spostò quindi verso la
bancarella di un venditore, nella quale ogni cosa era ammucchiata alla rinfusa.
Gran parte della mercanzia era riposta in scatoloni che, di tanto in tanto,
erano svuotati sul tavolo, in modo da tenere i visitatori in attesa e
sollecitarne la curiosità. Minutella, rovistando in un cumulo di libri, trovò
un vecchio numero della rivista “Arenaria”, che gli mancava. Impiegò circa un
paio d’ore per completare il suo giro.
Giunto nei pressi della bancarella di
Alfonso notò che questi stava trattando la serratura con due turisti. Minutella
si fermò a breve distanza per non intralciare la trattativa e nel frattempo
stava ad ascoltare.
« Vi garantisco che questa serratura
proviene da Palazzo Lampedusa, proprio il palazzo del principe, quello che ha
scritto il romanzo “Il gattopardo”. Mio padre buonanima l’ha trovato in strada,
fra le macerie, dopo il bombardamento. Per tanti anni l’ha tenuta come una
reliquia, io adesso per bisogno me ne privo.»
Le due
turiste confabulavano tra loro, sottovoce. Minutella colse dal loro accento che
erano lombarde. Dopo un tira e molla sul prezzo, una di esse cavò dal borsello settanta euro, che
porse ad Alfonso. Questi aveva assunto l’espressione di chi si trovi costretto
a cedere qualcosa di particolarmente caro.
Avvolse la serratura e la consegnò con una stretta di mano. Quando le
due donne si furono allontanate con il prezioso carico, il professore si
accostò con l’aria di chi non aveva visto né sentito nulla e domandò: « Signor
Alfonso, com’è andata la vendita oggi? ». Egli rivolse un rapido sguardo verso
il cielo e rispose in maniera lapidaria: «Professò, c’è mia madre che mi
assiste.»
Si
chinò e fece una carezza al cane.
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