martedì 2 giugno 2015

La fine della rappresentanza in Italia

di Domenico Bonvegna

Tra le grandi fratture che segnano il nostro tempo, c’è sicuramente la crisi della rappresentanza. Ormai da troppo tempo c’è tanta gente che non si reca più a votare perché non trova forze politiche e candidati credibili. Gli italiani hanno perso la fiducia nella politica, e non si sentono più rappresentati.
Ma non è stato sempre così per De Rita e Galdo, nel libretto “Il popolo e gli dei”, edito da Laterza, raccontanola politica degli anni cinquanta, sessanta e settanta, quando gli italianiandavano a votare in massa, la politica appassionava e coinvolgeva, generava appartenenza quotidiana, nella durezza dello scontro tra le diverse famiglie-comunità dei partiti, anche perché riusciva a stimolare la crescita, individuale e collettiva, verso un’emancipazione nella scala sociale. La politica era un motore delle aspettative della società, includeva i cittadini con le loro diversità economiche e sociali, faceva sognare tutti e ciascuno di potere diventare altro da quello che si era. Una volta che si è rotto questo meccanismo, il distacco è stato inevitabile e tutti gli indicatori lo registrano”.Nonostante la cronica instabilità politica, che vedeva all’opera un governo all’anno, la quasi totalità degli aventi diritto al voto accorreva alle urne, il 94 per cento alle politiche, 92 per cento alle amministrative, l’87 per cento alle europee. Mentre oggi alle ultime elezioni politiche del 2013, oltre 14 milioni di italiani hanno scelto di non recarsi alle urne, con un aumento di oltre 3 milioni in appena cinque anni, mentre gli aventi diritto al voto, nello stesso periodo, sono aumentati di 330.000 unità.“Laddove eravamo i primi, siamo diventati gli ultimi”. Nei giornalisti affiora una certa simpatia per laI Repubblica.
Una volta “un dirigente politico, nei partiti che funzionavano, veniva selezionato dal conflitto interno ed esterno al proprio mondo di riferimento, cresceva nelle palestre delle sezioni, dei consigli comunali, delle assemblee rappresentative, dal più piccolo degli enti locali fino al parlamento”. Oggi può capitare ad un dirigente politico di ritrovarsi direttamente al governo “dopo essere passato per qualche salotto televisivo”.
 Ormai il discredito dei partiti e di conseguenza della politica, ha raggiunto livelli alti, “la furia popolare ha travolto la credibilità dei partiti, dei loro apparati e dei rispettivi dirigenti”. Il disgusto e la rabbia verso la politica è un sentimento diffuso nella percezione collettiva. “E’ un universo di raccomandati, dove non si fa carriera per merito, per competenza e per capacità”. A questo proposito i due economisti scrivono che esiste “una rabbia generalizzata che colpisce più della metà degli italiani, al primo posto, tra i focolai del malcontento di moltitudine, torna il tema del disprezzo nei confronti della politica e l’indignazione per i comportamenti del pezzo di establishment che gravita tra le istituzioni e i partiti: l’80 per cento degli italiani si sente pronto a partecipare spontaneamente a manifestazioni contro i privilegi della classe politica e dei rappresentanti istituzionali”.
Tuttavia la politica ha bisogno di autorevolezza, non di autoritarismo, “E un valore etico che non è riconducibile soltanto al fondamentale comandamento di «non rubare»: senza un progetto, un orizzonte di lungo respiro, la politica diventa solo gestione dell’esistente e scivola nella dimensione del potere fine a se stesso”.
De Rita e Galdo concordano che tra le varie cause della crisi politica c’è soprattutto “l’eclissi di leadership”, un fenomeno in evidente crescita, che non può essere sostituita dal “salvatore della patria di turno, dall’uomo della provvidenza”. Ho presente l’interessante ciclo di conferenze organizzate qualche anno fa dall’ex sottosegretario Alfredo Mantovano a Lecce, dal titolo, “Le sfide della leadership”. L’ex politico pugliese intendeva dare delle risposte precise su che cosa significa leader di una comunità, su come si formano le guide nei vari settori della vita quotidiana, quale deve essere il loro ethos e quali strumenti per comunicare.
I due giornalisti smontano anche ilfalso mito della società civile. “Chi conosce la società italiana sa bene quanto il corporativismo, grande e piccolo, e la tendenza a fare cordate o tribù, appartengono ormai agli elettori come agli eletti - pertanto secondo De Rita e Galdo- la pomposa mistica della società civile, come serbatoio di eccellenze da prestare alla vita pubblica, non ha alcun fondamento nella realtà”.
Non è facile riaccendere la scintilla della rappresentanza negli italiani, La politica ha bisogno di stare nella realtà delle cose, con una cultura di governo pragmatica e realista, e allo stesso tempo di riscoprire il fascino di un sogno collettivo, del pathos di una condivisione nazionale, di un impulso alla crescita del corpo sociale. Se resta piatta e vuota, come appare oggi, il suo primato spinge alla regressio­ne e non alla propulsione, e nell’ombra di questo arretramento si nascondono le peggiori insidie del populismo, dell’invidia sociale e del livellamento, che si contrappongono a una sana competizione e a una crescita verso l’alto della società. Per funzionare, secondo una efficace dinamica di rappresentanza democratica, la politica ha una necessità vitale di organizzazione, ancorata al progetto e al territorio”.De Rita e Galdo ci tengono a precisare che non intendono riproporre la politica della I Repubblica. Però sono contro quei politici che passano “da un talk show televisivo a un altro senza soluzione di continuità”. Oppure qulli che assomigliano a degli“attori sempre impegnati a studiare la parte da interpretare, padroni di un territorio un tempo riserva esclusiva di professionisti dell’intrattenimento e di cantanti, vengono naturali alcune domande: ma dove trovano il tempo per metabolizzare un pensiero, un’idea? E il tempo per accorgersi di quanto accade realmente attorno a loro, nella realtà del quotidiano e non nella finzione di uno studio televisivo?”Chissà se hanno il tempo di leggere un libro, di studiare. Del resto questa è una società impersonale, dove l’istruzione e la cultura non sono considerate priorità, il linguaggio si impoverisce, i sentimenti siraffreddano fino ad esprimersi nella sintesi internettiana del ‘mi piace’. Siamo alla fine della storia, della politica? L’unica via per uscire dalla crisi della rappresentanza è quella del ritorno della politica, con profonde radici culturali, per sconfiggere il virus del populismo. Papa Francesco nel suo primo discorso del suo pontificato ha fatto riferimento esplicito alla necessità di ricostruire “la fiducia tra il vescovo e il suo popolo: ‘camminiamo insieme, vescovo e popolo…’, Sono parole valide anche per la politica.

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