martedì 26 maggio 2015

La verità di Guareschi


di Piero Vassallo

Prima di affrontare il dibattuto e tormentato problema dell’autenticità delle lettera scritte e firmate Alcide De Gasperi e indirizzate al comando inglese per sollecitare il bombardamento della periferia di Roma, lettere pubblicate nel 1954 da Giovannino Guareschi nel settimanale Candido, è indispensabile rammentare l’infondata fiducia dei belligeranti negli effetti delle incursioni contro le città, quindi disegnare il profilo dottrinale e le opinioni dello statista trentino.
L’inefficacia dei bombardamenti delle città nemiche era stata dimostrata dalla ferma reazione dei civili tedeschi ai bombardamenti inglesi del 1939/1940, e da quella altrettanto risoluta dei civili inglesi agli attacchi tedeschi nel 1940 e al lancio delle V2 nel 1943. Tuttavia la fiducia dei comandi militari e dei loro partigiani nell’effetto deterrente delle incursioni aeree sulle città non fu mai scossa e non diminuì neanche di fronte all’accanita, disperata resistenza opposta dai soldati tedeschi mentre si compiva la devastazione delle loro città, Dresda ad esempio.
L’esame delle fonti delle opinioni di De Gasperi non può trascurare il fatto che lo statista trentino conseguì a Vienna la laurea in filosofia; una qualifica che consente di giudicare le sue scelte politiche ispirate dal pensiero liberale in forte circolazione nell’Austria asburgica.
Tale pensiero alimenterà un rovente e vigoroso antifascismo, una cordiale simpatia per i partiti d’ispirazione laicista e infine un’allegra tolleranza nei confronti dei gapisti, autori di imprese terroristiche. Vero è che Giorgio Amendola, nel corso di una trasmissione televisiva degli anni settanta, rammentò che De Gasperi aveva commentato la notizia dell’avvenuto attentato di via Rasella con una compiaciuta e allegra battuta: “voi comunisti una ne fate e una ne pensate”.
Lo storico Giuseppe Bedeschi dal suo canto ha rammentato che, nel 1947, lo statista trentino, approfittando della incertezza del momento storico, prese congedo dalla dottrina sociale della Chiesa: “Per quanto riguarda tale dottrina, infatti, De Gasperi, come è stato giustamente osservato, non si limitò ad una semplice revisione … fece qualcosa di più definitivo e sotto molti punti di vista stupefacente: la cancellò con un solo tratto di penna. Alla luce della sua esperienza governativa egli bollò a fuoco come radicalmente antistorico il corpo dottrinale che dalle prime esperienze importate d’oltralpe passando per la Rerum novarum e le elaborazioni tonioliane, il cattolicesimo italiano aveva laboriosamente accumulato dalla metà dell’Ottocento in poi” [1].
Non si può pertanto trascurare o sottovalutare la frequentazione degasperiana di Romolo Murri e nascondere il fatto che la politica degasperiana non fu del tutto indenne dalla suggestione modernistica. Un precedente questo che, associato all’incauta comparazione degasperiano (in un discorso del 1947) di Gesù Cristo a Marx, e all’ostinata preferenza accordata ai partiti laici piuttosto che ai movimenti di destra (Msi e Pnm) chiarisce le ragioni del rifiuto opposto da Pio XII alle ripetute domande di udienza presentate dal capo del governo democristiano.
E’ peraltro risaputo che il conflitto tra De Gasperi e la Santa Sede fu causato, oltre che dall’affrettata bocciatura del progetto di costituzione elaborata dal filosofo del diritto Guido Gonella, dai diversi e incompatibili giudizi sul testo definitivo della costituzione italiana, un documento compromissorio e scivoloso, – aborto giuridico, secondo la sferzante ma puntuale definizione di Carlo Costamagna – che (lo rammenta l’autorevole Pietro Giubilo) ha rivelato in seguito una soggiacente / nascosta refrattarietà ai princìpi indeclinabili della morale cattolica.
Infine è da rammentare che, mentre Pio XII agiva in vista di una pace sottoscritta da tutti belligeranti nella seconda guerra mondiale, De Gasperi, insieme con gli esponenti del Cln, condivideva il progetto degli alleati, contemplante la resa incondizionata della Germania.
Si può affermare, senza timore di smentite, che De Gasperi perseguiva il medesimo fine degli alleati, ovvero finalità diverse e contrarie a quella della Santa Sede.
Non sembra dunque infondata la notizia, svelata da Guareschi, della richiesta rivolta ai nemici di bombardare la periferia di Roma.
Giuliani Balestrino, autorevole giurista e storico di collaudata perizia, finalmente dimostra, in un suo pregevole, robusto e convincente saggio, che De Gasperi, in sintonia con gli esponenti del partito d’azione, approvò e sollecitò i bombardieri anglo-americani, nella convinzione (smentita dai fatti) dell’utilità di tali imprese terroristiche [2].
Il 19 gennaio 1944 De Gasperi, coerente con l’opinione errata sull’efficacia deterrente degli attacchi aerei contro obiettivi civili, indirizzò al comando inglese due lettere intese ad ottenere il bombardamento della periferia di Roma: “Questa azione, che a cuore stretto invochiamo, è la sola che potrà infrangere l’ultima resistenza morale del popolo romano, se particolarmente verrà preso, quale obiettivo, l’acquedotto, punto nevralgico, vitale“.
Lo stato d’animo degli antifascisti a cuore stretto non contemplava l’orrore e la ripugnanza ai bombardamenti delle città italiane. In un testo, Concerto a sei voci, pubblicato nell’immediato dopoguerra, Giulio Andreotti scriveva infatti: “E’ vero o meno che proprio uomini del Partito d’Azione furono quelli che chiesero durante il 1943 agli alleati l’intensificazione dei bombardamenti nelle città italiane per affrettare gli sviluppi della situazione?”
Nel 1952 le due imbarazzanti lettere antifasciste scritte da De Gasperi e indirizzate al comando dei bombardieri, furono oggetto di un ricatto sventato da De Gasperi, che tuttavia (inspiegabilmente) non denunciò i ricattatori.
Nel 1953 le lettere di De Gasperi furono offerte a Giovannino Guareschi, il quale, prima di pubblicarle nel settimanale Candido, le fece periziare dal dottor Umberto Focaccia, autorevole perito del tribunale di Milano: esaminati i documenti il calligrafo dichiarò che le lettere erano state scritte da De Gasperi.
De Gasperi il 26 gennaio del 1954 querelò Guareschi. La decisione di adire alle vie legali implicava la squalifica delle sollecitazioni di bombardamenti indirizzate agli anglo-americani dai resistenti. Infatti impressionò sia Giorgio Pini – “il quale osservò che la querela sporta dal politico trentino implicava un cambiamento di valutazione relativamente ai bombardamenti anglo-americani” – sia Guareschi che scrisse “De Gasperi con la sua querela ammette implicitamente che aver chiesto un bombardamento agli anglo-americani è un fatto disonorevole”.
In realtà il fallito tentativo di occultare le pressioni esercitate dagli antifascisti sugli alleati al fine di ottenere il lancio di bombe sugli educandi italiani ha gettato un’ombra sulla gloria dei resistenti.
Sul fronte opposto, un redattore del quotidiano comunista l’Unità il 29 gennaio scrisse al proposito: “Perché De Gasperi non denunciò subito, un anno e mezzo fa, i ricattatori? Perché non lo ha fatto almeno una settimana fa, quando i documenti che furono oggetto del ricatto – anche se falsi – hanno cominciato ad essere pubblicati? Quali sono i motivi, quali le preoccupazioni che hanno indotto i capi clericali ad una condotta tanto equivoca?”
Il pulpito comunista era notoriamente traballante. Tuttavia la domanda – il sospetto – sulle ragioni del contraddittorio comportamento di De Gasperi era legittima. Vero è che il difensore di De Gasperi, l’avvocato Giacomo Delitàla “si oppose a che venissero disposte le perizie chimica e grafica perché non si doveva porre in dubbio la testimonianza giurata” del querelante.
Il motivo della rigida opposizione al ricorso alle perizie “oggi è dimostrato dai documenti resi noti da Nicolas Farrell e da quelli pubblicati da Alberto Santoni, che il politico trentino giurò il falso in Tribunale, come teste”.
Guareschi fu condannato a un anno di carcere interamente scontata. La sentenza fu pronunciata al termine di un processo inquinato dal legittimo dubbio, insinuato da Guareschi nel numero di Candido pubblicato il 25 aprile 1954, di una obbedienza dei giudici all’articolo 16 del trattato di pace imposto dagli alleati all’Italia nel 1947, articolo che contemplava l’impunità degli italiani che, tradendo la Patria, avevano collaborato con il nemico durante la seconda guerra mondiale. La rievocazione di Giuliani Balestrino traccia un pesante segno critico sulle glorificate imprese degli antifascisti di sacristia. Un’ombra che fa coppia con quelle lasciate dai giustizieri comunisti sulle radiose giornate della primavera del 1945. Oscurità che tuttora fanno cadere note stonate sulle fanfare squillanti nelle perpetue celebrazioni compiute da autorità che hanno in tasca il metro di legno.

[1] Cfr.: Le ideologie politiche in Italia dalla Costituente al centrismo, Einaudi, Torino 2003, pag. 27.
[2] Ubaldo Giuliani Balestrino, “Guareschi era innocente Ecco le prove“, i libri del Borghese, Roma 2015.


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